Paolo Vanacore
Parole e ombre/18

Polaroid

«Veronica, come facciamo con tuo marito? Le chiesi. Tranquillo, Giovanni. Non lo saprà mai. Rispose. Purtroppo, le cose non andarono esattamente così. Sono passati trentatré anni e il marito mi sta ancora cercando»

Immagine di Luisa D’Aurizio

Iniziò tutto con una Polaroid, all’epoca avere una Polaroid era un vanto. Costavano molto le Polaroid e anche la carta costava molto ma io ne avevo abbastanza perché mio padre era il proprietario di un negozio di sviluppo e stampa foto, l’unico del quartiere. E così presi a fotografarle tutte. La prima a diciassette anni, lei ne aveva sedici, Giulia, si chiamava, come la canzone di Venditti, ci sapeva fare ed era intelligente proprio come la canzone. Non era innamorata, ma aveva una sana ossessione per me, voleva farlo, diceva che non ero come gli altri, diceva che quando mi pensava non riusciva a smettere di pensare al sesso. Aveva due occhi azzurri e uno sguardo da dispettosa furbacchiona che non dimenticherò mai: teneva sempre le gambe strette ma non vedeva l’ora di aprirle. E così accadde. Fu in quel preciso momento che iniziai il viaggio più lungo della mia vita, quello del corpo femminile, anzi, nel corpo femminile. C’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire in un corpo femminile, a diciassette anni come a cinquanta. Non si finisce mai di imparare. E io da allora non ho mai smesso. Non mi sono mai fidanzato, sposato, non ho mai fatto figli, non ho nipoti, ormai non ho più neanche i genitori, non ho fratelli, ma quello che ho è un bel cazzo pieno d’amore che ha sempre dato il meglio di sé. Si tratta di un cazzo apparentemente normale, di medie dimensioni, un magico salsicciotto dalle doti segrete. Lui è umano, astuto, perverso, scorge la preda prima di me e subito dopo averla puntata si mette in istantanea connessione con la mia mente, in pratica sono uno dei pochi uomini al mondo ad avere il Cervello Erettile che è cosa ben diversa dall’essere una stupida testa di cazzo. L’uomo dal Cervello Erettile è un individuo acuto, ingegnoso, perspicace, capace di capire le donne prima ancora di corteggiarle. L’uomo dal Cervello Erettile è capace di inviare a una donna un semplice sms, un “ciao, come stai?” dietro il quale si nasconde un progetto di seduzione che parte da molto lontano, un gioco sospeso, una frase in codice, una richiesta di accesso, un discorso lasciato a metà, insomma, un saluto apparentemente banale che ha il potere di rendere la sua fica umida e bagnata, a comando. La prima foto di Giulia con le gambe aperte senza mutandine la conservo ancora nel mio archivio personale, ogni tanto me la vado a rivedere e mi eccito ancora, come quand’ero ragazzino. La prima volta non si scorda mai. La scoperta di quel calore avvolgente cui fa seguito una felice alternanza di entrate e uscite continue e ripetute, talvolta dolci, altre volte potenti, mi ha cambiato la vita. Ma ciò che mi ha segnato per sempre è stata la scoperta di avere un Cervello Erettile grazie al quale posso arrivare al godimento esattamente quando voglio, intendo dire: nel momento esatto in cui ho deciso che deve accadere. Perché la verità, quello che non avete ancora capito, mezzi uomini, è che la donna non ne ha mai abbastanza. Ne vuole sempre di più e più a lungo possibile: orgasmi ripetuti, simultanei, contemporanei. Le poche donne che grazie a me sono riuscite a scoprire l’appagamento totale dei sensi si sono trasformate in poderose macchine del sesso. Vogliono solo godere. E come dare loro torto? Nonostante le conosca tutte, entrare in quella meravigliosa cavità è un’esperienza sempre unica, sconvolgente: dalle pudiche strette alle fini eleganti, dalle larghe esperte alle piccole dolorose, dalle sempre elastiche alle geneticamente morbide, dalle carnose abbondanti alle scheletriche fragili.

Subito dopo Giulia, c’è stata sua sorella, Federica, la timida, poi il giorno che ho compiuto diciotto anni è toccato alla loro madre, Veronica, la quale prima di farsi scattare la foto mi confessò che aveva saputo tutto dalle figlie e che stava aspettando con ansia che arrivassi alla maggiore età per concedersi a me. Veronica era una madre molto giovane, aveva dato alla luce Giulia quando era ancora minorenne e sua madre, la nonna delle ragazze, aveva solo sessantatré anni. Con Nonna Rebecca non ci sono mai andato, non perché non volessi, semplicemente perché non ho fatto in tempo.
Veronica, come facciamo con tuo marito? Le chiesi. Tranquillo, Giovanni. Non lo saprà mai. Rispose. Purtroppo, le cose non andarono esattamente così. Sono passati trentatré anni e il marito mi sta ancora cercando.
Nel frattempo, ho continuato a mentire, a promettere, a dare buca agli appuntamenti o a presentarmi di sorpresa, a cambiare pretendenti, a tradire, a sparire, a entrare di notte nelle camere altrui, a nascondermi negli armadi o sotto i letti, a cambiare casa, residenza, a trasferirmi in altre città, altre nazioni, a cambiare lavoro, identità, carattere, stile di vita, come un bandito, un assassino. Ho frequentato le più ignobili periferie, gli ambienti altolocati, la media e bassa borghesia, gli istituti religiosi delle suore benedettine, stimmatine, missionarie (ovviamente) ma anche immacolate o del preziosissimo sangue, i camerini delle attrici, gli studi dentistici associati, le commercialiste e gli avvocati, le insegnanti e le infermiere, le studentesse e le cameriere.
Ho ascoltato, parlato, consolato, solo prima di aver scopato. Mi sono allontanato, scappato, rifugiato, solo dopo aver copulato.
Le Polaroid le conservo religiosamente per nome e per anno nella libreria del mio studio anche se grazie ai potenti mezzi tecnologici dell’età moderna sono riuscito a realizzare un fantastico catalogo digitale che comprende al momento 1.123 immagini di donne con le gambe aperte, con e senza mutandine, con e senza mani, con e senza peli. Di alcune di loro si intravede il volto in lontananza, normalmente hanno la bocca aperta, gli occhi socchiusi. Pochi istanti prima di diventare mie.


Paolo Vanacore, napoletano, vive a Roma, è laureato in Storia del Teatro. Nel 2006 il saggio Gennaro Pasquariello, attore e cantante di varietà vince il Premio Studio 12 e viene pubblicato con la prefazione di Peppe Barra. Nel 2006 il racconto Che vuole Marta? viene inserito nell’antologia di racconti gay Men on Men vol.5 per Mondadori. Nel 2008 e nel 2011 pubblica la raccolta di racconti Donne Romane, storie al margine sotto l’argine e Piccoli quadri romani, dieci corti teatrali in dialetto romanesco, entrambi ambientati nella periferia romana (Edilet). Per Tempesta Editore pubblica nel 2014 Mi batte forte il cuore una fiaba per bambini sul tema dell’omogenitorialità che ha ricevuto il sostegno dell’Autorità Garante per i Diritti dell’Infanzia e nel 2015 il romanzo Vite a buon mercato scritto con Silvia Mobili e Romeo Vernazza. Nel 2017 pubblica il suo romanzo L’ultimo salto del canguro per Castelvecchi Editore (Finalista Premio Nazionale Equilibri, 2018), nel 2018 la fiaba per bambini Il canto degli alberi (Sillabe editore). Nel 2019 scrive il romanzo breve La vera storia di Rosy D’Altavilla tratto dall’omonimo spettacolo di successo replicato in varie città italiane, (Lilit Books, menzione speciale Premio Città di Grottammare, 2019). Alterna l’attività di scrittore a quella di sceneggiatore, autore e regista teatrale.


fbt

Luisa D’Aurizio anno 1988, laureata in Storia dell’arte e amante della fotografia, appassionata in modo particolare a quella analogica. Collabora da qualche anno con lo studio professionale Ikon photo[graphia] di Lucio Inserra e lavora come Web e Social Media marketer e come fotografa e videomaker presso Radio Delta 1. Espone a Lanciano in varie edizioni di Confusioni , Vasto ad Art in the Dunes , e dal 2017 presso la TAG – Tevere Art Gallery nella collettiva il Mostro. Espone nelle ultime tre edizioni di Voies Off ad Arles e nel primo festival di fotografia contemporanea di Todi Immagina.

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