Covidiario di un contagiato/6
Freud e la paura
Ma come, la paura? Sono trent’anni almeno che suggeriamo clinici alternativi a Sigmund Freud e ora ci torna utile lui più dei vecchi dottori e della new-virolage da usare per la lotta?
Di quella sera di venerdì fino alla notte seguente mi restano delle crepe. Mi arriva un messaggio di Brunella, solo il mio nome. La chiamo, piange, mi dice che è positiva e piange ancora. Tra i suoi singhiozzi ogni parola non detta diviene così chiara da sciogliere la saliva in lacrime, come se riposassimo tutti in una collina da cui scorgere appena una spiaggia inventata.
È il momento di trovarci soli, assieme, e fa tutto male. Fanno male il gelo, lo scuotersi dei bronchi, il brutto respirare, le febbri alte, insomma questo caos che addirittura ti apre un’altra via ma non la vedi. Queste saranno trenta ore veramente malvagie e si perderanno anch’esse dinanzi alla rubrica di nomi con cui ho condiviso i medesimi pudori, le noie d’ambiente, il leggere e lo scrivere, quel silenzio che tutto superava in meglio. E la paura.
Ma come, la paura? Sono trent’anni almeno che suggeriamo clinici alternativi a Sigmund Freud e ora ci torna utile lui più dei vecchi dottori e della new-virolage da usare per la lotta? Ma io in questi due giorni dannati prendo anche a braccetto sua figlia, almeno mi eviterà di identificarmi con l’aggressore. Anna mi userà la gentilezza di accompagnarmi dal padre. Sta al terzo piano e non riceve più nessuno a studio. Suoniamo. Lo ringrazierò di averci ricordato che diverse sofferenze ci minacciano…
«Dal nostro corpo, condannato al declino e al disfacimento e che non può funzionare senza il dolore e l’ansia come segnali di pericolo; dal mondo esterno, che può scagliarsi contro di noi con la sua terribile e formidabile forza distruttiva; infine, dalle nostre relazioni con gli altri».
È o non è qui ed ora? Parlava di condizioni dell’esperienza o di terapie alternative? E quale attitudine può valere meno di quella che nega la paura di un infermo? Ma come avete fatto per decenni a non sentire che Freud e Jung altro non erano che teatro e fabbrica del nostro medesimo inconscio? Facevano un passo doppio…
Il pianto che mi viene regalato con generosità, la vita bella che è ancora dentro di me, io che ne esco a condizione di portare l’invasore sul mio terreno… Ne ho di paura ma ti insegno, sgorbio zamputo, che in molti linguaggi diversi il Perturbante è l’inquietante, lo sconvolgente, l’inconsueto, eppure Freud riesce a tradurlo due volte per sé e dà prova di classe intellettuale: Unheimlich (non familiare) e Heimlich (familiare e segreto). Come una sorgente sepolta, come un vulcano spento. L’acqua e la cenere, la vita e la morte. Tu, sgorbio, non lo vedi, perché non stai né sotto né fuori me, stai soltanto dentro, al buio. Se ti resisto è perché sono debole a sufficienza e non mi dimenticherò mai che uno dei saggi di estetica più sfolgoranti del Novecento lo scrisse ancora Freud. Si intitolava Il Poeta e la Fantasia e mi raccontava di quanto fosse resistente la creatività.
«Si ricorderà che abbiamo affermato che il sognatore a occhi aperti nasconde accuratamente agli altri le proprie fantasie, giacché ha motivo di vergognarsene».
Perdonali Maestro, perché non sapevano quel che leggevano.