Tina Pane
A proposito di "Bagnoli. L’ultimo casco giallo”

Bagnoli e il mito

Chi la chiama Italsider, chi Ilva, chi semplicemente Acciaieria, chi Bagnolifutura: di certo, l'ex area industriale a Nord di Napoli rappresenta una ferita non rimarginata. Giovanni Capasso ripercorre tutte le trame di questa storia dal finale amaro

Esiste più di un termine, a Napoli, per indicare le vicende dell’Acciaieria: qualcuno dice semplicemente Bagnoli, che è il toponimo del quartiere dove sorgeva, qualcuno la chiama Italsider, o addirittura Ilva, col nome della prima società fondata nel 1905; qualcuno salta direttamente a Bagnolifutura, dal nome della società che si è occupata della trasformazione urbana dell’area. Dipende da che rapporto si ha con la sua storia: se si è bagnolese, magari figlio o nipote di un operaio, cresciuto con la fabbrica nel Dna, o napoletano ma di un altro quartiere, che col passar degli anni ha finito per archiviare la complicata vicenda tra le tante occasioni mancate della città, o un addetto ai lavori che ha vissuto da vicino il fallimento di un ambizioso progetto.

Per tutti, sicuramente, c’è una sintesi ed è l’immagine dell’area dove sorgeva la fabbrica vista da Posillipo, un’immagine di straordinaria e ferita bellezza che porta a chiedersi, un po’ semplicisticamente, come mai si sia scelto, più di un secolo fa, un posto così bello per impiantarci un’industria.

A questa e ad altre domande, giuste e sbagliate, risponde un libro recentemente uscito per i tipi della Martin Eden, Bagnoli. L’ultimo casco giallo, di Giovanni Capasso, a cura di Giuseppe Pesce. L’autore racconta in prima persona la storia della fabbrica dal 1986, anno in cui viene assunto come ingegnere di manutenzione, fino al 2015, quando a seguito del fallimento di Bagnolifutura viene assorbito in una partecipata del Comune di Napoli.

Con una percepibile ma contenuta schiettezza, Capasso ci accompagna dietro i cancelli della fabbrica, ci descrive i processi di lavorazione, nomina luoghi e persone degli ultimissimi anni di attività produttiva, avendo avuto “la possibilità e la fortuna di vedere tutti gli impianti dello stabilimento in esercizio prima della loro definitiva chiusura”, avvenuta nel 1991.

Ci racconta del passaggio nel 1996 alla nuova società Bagnoli Spa, pensata dall’IRI per attuare il piano di recupero ambientale dell’area, con l’incarico di responsabile dell’Archivio storico, dell’opportunità di affacciarsi su una mole di materiali documentali e fotografici di immenso valore storico, della lotta spesso impari contro i frequenti blitz dell’Ufficio Demolizione, una dicitura che sembra un’invenzione letteraria e che invece è stata la causa della perdita di una parte delle “carte di ferro”: buste paga, fascicoli personali, storie di vita dei dipendenti, ma anche disegni tecnici, foto di inaugurazione degli impianti, dei danni di guerra, delle colonie aziendali per i bambini.

È a questo punto, quando l’ingegnere con la vocazione dello storico si rende conto dell’assoluta mancanza di immagini più recenti, che Capasso si attiva per convincere la direzione della Bagnoli Spa a realizzare un documentario tecnico-storico per filmare le grandi demolizioni ancora in corso. Nasce allora l’Infobox, una sorta di museo delle trasformazioni della fabbrica, ospitato in una vecchia cabina elettrica all’inizio del Pontile Nord. “Veniva raccontata –scrive l’autore- la storia del sito, con foto e riprese d’epoca, e lo stato di avanzamento lavori della dismissione degli impianti, con grafici, report e anche medianti filmati”. Mentre l’Infobox diventava il muro del pianto degli ex dipendenti Italsider, molte iniziative venivano attuate per portare le scuole del quartiere e della città a conoscere la storia della fabbrica e la trasformazione urbanistica che avrebbe interessato quel pezzo di città.

In un racconto che procede come un romanzo, Capasso ricorda gli incontri degli studenti con Ermanno Rea, che proprio nell’Archivio storico aveva trovato la documentazione e l’ispirazione per il suo romanzo La dismissione, le “opere siderurgiche” realizzate dallo scultore Giancarlo Neri con materiali di risulta, la sua rabbia per la decisione della società di demolire l’Infobox, l’apertura del Pontile Nord alla cittadinanza come passeggiata a mare. E ancora, il musicista Daniele Sepe che suona l’Internazionale durante l’abbattimento della Torre piezometrica della cokeria, il film di Gianni Amelio “La stella che non c’è” ispirato al libro di Rea, il cortometraggio di Ugo Capolupo “L’ultimo rimasto in piedi”, ispirato proprio alla figura di Capasso e al suo pervicace tentativo di salvare e conservare memoria, pezzi e rottami della fabbrica.

Si arriva così alla seconda metà degli anni 90, dedicata a demolizione e dismissione, mentre gli spazi della ex fabbrica ancora sono vivi, ancora accolgono visitatori, artisti, concerti e iniziative di collegamento alla città. Poi, nel 2002 il Comune di Napoli costituisce la Bagnolifutura, la società di trasformazione urbana che avrebbe dovuto procedere alla valorizzazione dell’area, realizzando le attività di bonifica e cedendo ai privati la gestione delle aree edificabili. Anche di questa fase Capasso fornisce un’accurata e dolente ricostruzione, ricordando l’avvicendarsi dei protagonisti, gli stop and go delle decisioni politiche e dei finanziamenti, l’eccessiva attenzione mediatica, insomma tutta quella intricata vicenda che portò alla mancata inaugurazione della prima opera, il Parco dello Sport (prevista nel 2010), alla sospensione dei lavori per tre anni, al fallimento della Bagnolifutura e al sequestro disposto dalla magistratura.

Una vicenda intricata e ancora non conclusa che lentamente viene dimenticata, un’ennesima occasione persa per la città. “In trent’anni di lavoro a Bagnoli – conclude l’autore- insieme a Giancarlo Neri, Giancarlo Alisio, Augusto Vitale, Ermanno Rea e tanti altri ancora, abbiamo provato a salvaguardare un’eccezionale testimonianza storica, industriale e sociale del Mezzogiorno. Ma il rammarico più grande è quello di assistere impotenti ai continui ritardi dei lavori di trasformazione, mentre l’inesorabile scorrere del tempo sta ormai sbiadendo la memoria della fabbrica”.

Questo piccolo grande libro, che ci racconta una tranche di storia attraverso gli occhi di un protagonista, ha la capacità di portare il lettore a contatto con i fatti e i fattarielli, con le persone, gli aneddoti, i piccoli e grandi eventi, i ricordi, in una parola con la memoria. Completano il suo valore una sintetica cronologia e una sezione di Contenuti speciali con 44 QR code che tramite smartphone linkano a video, immagini e altri materiali visivi che costituiscono parte integrante della lettura del libro.

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