Ricordo di un Maestro
Zavoli l’umanista
Rievocava di recente i tempi d'oro del Premio Estense, condivisi con amici a cui lo accomunava soprattutto il modo di sentire il mondo: la convinzione che l'umanesimo «viene prima di ogni altra sapienza»
«Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io…».
L’ultima volta che sono andato a trovarlo, in luglio, ricordava con nostalgia gli anni trascorsi in meravigliosa intesa con gli amici Leone e Carlo. Gli anni del prestigioso Premio Estense, quando, schierati nella giuria, appunto Zavoli, Piccioni e Bo, con magica sintonia andavano dritti al punto sulla scelta dei libri e degli autori prescelti. Certo a nessuno di loro facevano difetto il gusto, la profondità, il rigore e l’onestà intellettuale secondo cui orientare il giudizio. Ricordava, Sergio, poi il divertimento di memorabili pranzi e cene a coronamento dell’impegno di giurati. Sapevano praticare l’arte del convivio e ogni volta era una festa ritrovarsi, lì, come poi più tardi in altri premi, da giurati o da premiati.
Il divertimento! Proprio questo è il tratto che rende inestinguibile la nostalgia di persone come Sergio Zavoli e Carlo Bo (per non dire di Leone, mio padre), che fa sentire la loro mancanza per sempre. Il piacere dell’intelligenza al lavoro, carica di memorie, capace di sorprenderti, affamata di sapere, pronta a misurarsi, a dar prova di sé ma senza esibizione, solo per il desiderio di agguantare una consapevolezza in più e metterla a frutto nel ragionamento successivo. Tutto, anche, all’insegna della leggerezza garantita dalla profondità, dall’ironia sempre pronta a graffiare ma con bontà, dalla capacità di ridere pure di se stessi.
Dopo essere stata con lui, negli ultimi tempi condividendo pranzi amorevolmente allestiti da sua moglie Alessandra, sempre attenta e fedele al mandato di custodire negli anni estremi della vita la presenza su questa terra di un uomo come il suo amato, tornavo a casa con un senso di vera gratitudine.
Quando morì l’amico fraterno Leone, altro padre nobile insieme a Zavoli della televisione italiana, s’indignò perché i telegiornali dell’azienda Rai nella quale mio padre aveva militato per più di quarant’anni divenendone vice direttore generale, non dettero neanche la notizia della sua scomparsa (con la sola eccezione di RaiNews 24). Volle ricordarlo nel settembre di quello stesso anno (il 2018), a due mesi dalla morte, al Premio Boccaccio con una bellissima testimonianza pubblicata su Avvenire. Con la scomparsa di Piccioni – vi si leggeva – «al Paese veniva meno uno studioso della letteratura assai vicino a chi dichiarava di prediligere un umanesimo che “viene prima”, aveva scritto, “di ogni altra sapienza”».
Tutto è stato detto e scritto sul Maestro Zavoli, a cui devo riconoscenza anche professionale avendo avuto il privilegio di essere nella redazione di due suoi programmi televisivi (Viaggio nella Giustizia e Storia della Prima Repubblica). Non c’è nulla da aggiungere. Ma è proprio sull’esercizio dell’Umanesimo – suo e dei suoi compagni di avventura – che oggi più che mai occorre soffermarsi. Per imparare bene la lezione, per tramandarlo, per continuare a nutrircene anche in questa nuova e temuta condizione di assenza. Un compito che cercherò di svolgere, per essere presa come loro dall’«incantamento» e ritrovarmi «in un vasel ch’ad ogni vento per mare andasse al voler vostro e mio».