Ritratto di una periferia vitale
Sulla strada
Il mondo visto da Via di Macchia Saponara, una strada lunga tre chilometri tra Roma e il mare. Un universo autosufficiente e incompleto allo stesso tempo, dove comunque la vita rotola via veloce. Come in un tutti i nuovi "non luoghi"
Via di Macchia Saponara è lunga poco più di 3 chilometri, si trova fra Acilia e Casalpalocco, a Roma, dove già si vede il mare di Ostia. Inizia sotto un muro e finisce in una rotonda, la qual cosa sembra suggerire che per capire davvero la strada bisogna tornare indietro, rifarla in senso diverso. E guardarla non più come scoperta, ma come meditazione di quello già visto.
Perché bisogna tornare indietro per capirla? Perché in queste strade la vita irrompe di continuo, tanto che ad ogni secondo fiorisce un evento diverso, senza ragione, conseguenze o speranze. Queste non sono strade che accumulano memoria o mantengano un ordine, qui la vita appena nasce si dilegua ed i giorni siano essi belli o brutti, uguali o diversi si trasformano in scorie da ammucchiare da qualche parte. In attesa di un camion che li porti via.
Infatti a Via di Macchia Saponara vi è di tutto, ma tutto è a metà, diviso fra la sorpresa e il vecchiume. La Posta, i Supermercati, i negozi, i gommisti, i campi di calcio, le pompe di benzina, i ristoranti cinesi, i negozi per i cani, le aiuole con le piantine che scrivono il nome AXA e la data ogni giorno, la farmacia, l’anonimo locale per gli scambisti, la Chiesa, il parco della Madonnetta, il dog parking dove i cani corrono felici ed i padroni, che si portano la sedia da casa, si scambiano occhiate nevrose, i venditori di patate, i negozi di pizze al taglio, le fermate degli autobus, gli alberi sulla strada, tutte queste cose, cuore e viscere della strada, oscillano fra l’ordine e il casino, la necessità e l’inutile, il permanente ed il mai successo.
Attraversare in macchina Via di Macchia Saponara, magari ascoltando la canzone Penny Lane dei Beatles, è come fare zapping in un televisore che non trasmette programmi diversi ad ogni canale, ma su canali diversi trasmette sempre la stessa telenovela. Poi all’improvviso lo sgomento: davanti al portoncino di una palazzina recintata la statua in acciaio a grandezza naturale di un ragazzo che fa il surf. Perché questo monumento? Ricorda qualcuno che ha abitato qui? Forse è annegato, giocando? O è un campione che nessuno conosce? Quanta vita, passione, dolore vi è nascosto in quella casa? Poi la strada continua fra rumori, siepi e persone, come succede con la vita uguale e confusa tutti i giorni dell’anno.
Dopo 3 km, ad un certo punto, andando dalla Posta verso la Cristoforo Colombo, che poi sbocca sul raccordo anulare, proprio di fronte al vivaio, a cui segue il supermercato Simply, la strada comincia a girare su se stessa, sulla rotatoria: qui finisce e diventa un percorso alberato segnato dal nome di un poeta dell’antica Grecia. Ora non è più lei, ha cambiato volto, oramai appartiene al futuro. Anche se una è il prolungamento dell’altra, la mia strada parla di una primavera che non riesce mai a diventare estate, pur invocandola tutti i giorni dell’anno, mentre Via Pindaro è più breve, praticamente senza negozi, si allunga spensierata verso il mare.
Poi un giorno al supermercato Simply incontri una tua alunna, ora madre di due bambini, che ti ringrazia per le lezioni che hai tenuto e ti vengono le lacrime agli occhi non solo per la gratitudine, ma perché la tua vita è passata, oramai sei una persona come tante altre che hanno consumato la vita fra queste case, pietre e negozi. E mentre la studentessa va via, perché il futuro l’aspetta, ti guardi la punta delle scarpe e ti chiedi come hai fatto ad arrivare fin qui, come hai vissuto, come sei finito in questo pezzetto di mondo appena segnato sulla mappa della città di Roma. Lacrime furiose s’intrecciano con i cavoli e le mozzarelle.
Quando piove a dirotto e dalla strada in alto, la Via di Acilia, masse d’acqua irrompono giù, Via di Macchia Saponara si trasforma in un pantano. Le macchine affogano, gli uomini si incazzano, la vita si ingarbuglia ancora di più, ma a quel punto la strada ride, perché solo ora è padrona di se stessa, solo ora, sotto il fango, può giocare con i tombini. Senza la strigliata delle gomme delle auto.
P.S. La Biblioteca di quartiere è dedicata a Sandro Onofri, uno scrittore che visse in questa strada e che io una volta incontrai davanti al bar Domino. Parlammo del giornale l’Unità, di libri e di strade. Ci promettemmo di rivederci, poi lui cambiò casa ed andò via dal quartiere, poi con il tempo anche la vita lo perdette di vista. Ora il suo nome è inciso su una lapide al lato del portone d’ingresso.