Giuliana Bonanni
Finestra sul mondo

Grand tour Turner

Il ritorno alla normalità, in Francia, coincide con l'apertura di una bella mostra di William Turner al Musée Jacquemart-André di Parigi. Una retrospettiva dei dipinti e degli acquarelli di viaggio del grande pittore inglese: dalla Manica a Venezia

Con un ritardo di oltre due mesi sulla data prevista, da fine maggio dieci tele a olio e sessanta acquarelli di William Turner (1775-1851), prestito eccezionale dal fondo Turner della Tate Gallery, sono finalmente in mostra nel museo parigino Jacquemart-André. L’esposizione delle opere, molte delle quali per la prima volta in Francia, è stata prorogata fino all’11 gennaio del prossimo anno (una mostra gemella di opere dalla Tate arrivò anche a Roma, al Chiostro del Bramante, due anni fa). Ne parla il critico d’arte Philippe Dagen che, in un articolo su Le Monde, intitolato “Invitation au voyage avec Turner“, ci porta nel mondo del  grande acquarellista inglese, maestro della luce e del colore. Il viaggio, per Dagen, è il tema conduttore della mostra, sia come ricerca di un altrove ideale, evocato dal rimando a Baudelaire, sia come formazione artistica e contatto con la natura che va ben oltre il rigido schema del “Gran Tour” settecentesco. «Le dieci tele e i sessanta acquarelli rappresentano più una scelta antologica che una retrospettiva», scrive il critico francese, sottolineando come la successione cronologica dei quadri scelti per l’esposizione parigina venga scandita dal tema dai continui movimenti di Turner.

È un viaggiatore ossessivo «interessato alla natura, all’architettura, alla storia, alle tradizioni, in poche parole, a tutto» – annota ancora Dagen – ma «soprattutto ai grandi spettacoli naturali ispiratori e specchio della sensibilità romantica della sua epoca». Nell’ultimo decennio del settecento Turner visita e ritrae l’Inghilterra, la Scozia e il Galles, e, spinto da uno spirito patriottico, ne ritrae la storia, la letteratura e le leggende.  In quegli anni gli inglesi non possono attraversare la Manica; l’Inghilterra è minacciata dalle ambizioni napoleoniche e il resto dell’Europa è in guerra. Solo nel 1802, nel breve periodo della pace di Amiens, Turner può andare per la prima volta a Parigi e spingersi fin alle Alpi. Non ci potrà tornare se non dopo la battaglia di Waterloo. Dal 1815 in poi alterna ai consueti itinerari inglesi, viaggi in Francia, Italia e nei Paesi Bassi. Nel 1819 è a Venezia e a Napoli, a Roma nel 1828 e nel 1836 a Chamonix. Un “Grand Tour” in Italia, tardivo ma fondamentale, che lo cambierà per sempre. È soprattutto a Venezia, visitata per l’ultima volta nel 1840, con la sua luce limpida, l’atmosfera vaporosa e i suoi palazzi segnati dal tempo riflessi nel Canal Grande, che scopre il luogo dove si materializza ogni suo ideale di bellezza. Nei suoi quadri veneziani la luce è la vera protagonista e i monumenti sono appena accennati nell’immensità del cielo e dell’acqua. Negli ultimi anni della sua vita Turner, non più in grado di viaggiare, andrà spesso a Margate, sulla Manica, per ritrarre il “più bel cielo d’Inghilterra”.

Artista instancabile e appassionato, Turner, alla sua morte, nel 1851, ha lasciato nella sua casa e nel suo studio un’enorme quantità di opere che «con il loro carattere sperimentale mostrano la vera natura e la modernità dell’artista più di quanto facciano i quadri finiti e destinati alla vendita» come nota Bruno Monnier, presidente di Culturespaces, la società che ha curato il catalogo e la visita virtuale della mostra. Queste opere, oltre cento quadri e migliaia di acquarelli, schizzi e disegni preparatori, per volontà testamentaria del pittore, oggetto di una lunga battaglia legale con la famiglia, confluirono in un legato al proprio Paese e vennero suddivise in vari musei.  Solo nel 1897, con l’apertura della Tate Gallery, il fondo venne riunito anche se non tutto esposto al pubblico.

Autodidatta, di famiglia modesta, Turner cominciò a lavorare giovanissimo per diversi architetti e nel frattempo frequenta corsi di topografia e prospettiva e solo successivamente si iscrisse alla Royal Academy. Durante l’estate viaggiava con l’inseparabile blocco per gli schizzi e i suoi amati colori. L’inverno lavorava nel suo studio, spesso completando i bozzetti fatti durante le sue peregrinazioni, e, soprattutto, disegnava per fare fronte alle incessanti richieste di materiale per le incisioni che illustravano i numerosi libri di viaggio allora in voga. Nel frattempo studiava la tecnica dell’ammiratissimo pittore del seicento, Claude Lorrain, francese di nascita ma romano di adozione, che aveva scelto come maestro. Le sue opere gli indicavano la strada per andare oltre il freddo neoclassicismo e approdare al romanticismo, fino alle soglie dell’impressionismo. Lo affascinavano la luce e l’aria vibrante delle sue vedute della campagna romana. Le città ideali e le scene portuali di Lorrain saranno, per sempre, un modello e una fonte di ispirazione.

«Con questa selezione abbiamo cercato un approccio intimo al lavoro del grande paesaggista inglese; è come se ci fossimo messi alle sue spalle per osservarne da vicino i processi creativi, la tecnica e la sua incessante oscillazione fra l’acquarello e la pittura ad olio alla ricerca visionaria della luce e del colore che annuncia la grande rivoluzione impressionista» spiega Pierre Curie, direttore del museo di boulevard Haussmann e fra i curatori della mostra. «Anche se è evidente che l’acquarello rimane il suo strumento preferito di sperimentazione permanente, un vero e proprio campo di esplorazione pittorica». Lo studio della luce e della percezione dei colori è un tema che appassiona gli artisti di inizio secolo (Goethe nel 1810 pubblica la sua Teoria sui colori) e Turner, con le sue infinite prove, sa bene che i colori trasparenti sovrapposti si avvicinano agli effetti luminosi della natura più di quanto non facciano gli strati dei colori ad olio.

Gli spazi del museo, dimora di fine ottocento della coppia di ricchi collezionisti Edouard André e Nélie Jacquemart, proprio per la loro dimensione privata, ben si prestano ad uno sguardo ravvicinato e intimo all’artista che «dipingeva per il proprio piacere» come ha scritto  il critico d’arte e suo grande ammiratore John Ruskin. Il percorso cronologico della mostra permette di seguire passo dopo passo l’evoluzione artistica del pittore: dalle opere giovanili caratterizzate ancora da un certo realismo topografico, alle opere della maturità, più radicali e compiute, affascinanti esperimenti di luce e colore. Le sue osservazioni sui fenomeni atmosferici l’hanno condotto fino alla dissoluzione delle forme fra nebbie e vortici colorati, tanto da farlo ritenere da molti un precursore dell’astrazione gestuale della seconda metà del novecento. Come scrive Dagen con Turner scopriamo «un certo stato del mondo e non la sua sparizione».

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