Asia Vitullo
Cinema dal divano

La movida di Forrest Gump

Se siamo davvero noi gli artefici e gli artigiani della nostra vita, perché continuiamo a complicarcela adeguandoci al branco? Rivedere "Forrest Gump” di Robert Zemeckis può essere molto utile, ora

Una panchina. Una valigia. Una camicia azzurra. È così che si presenta in tutta la sua bellezza e disarmante ingenuità il nostro Forrest Gump. Sì, perché ormai da più di vent’anni ognuno di noi ha avuto la fortuna di sedersi accanto a quel buffo personaggio e sentire la sua incredibile e straordinaria storia.

Era il 27 marzo del 1995 quando allo Shrine Auditorium di Los Angeles si tenne la 67ª notte degli Oscar: da un lato l’eccellenza tarantiniana di Pulp Fiction, dall’altro una commedia alquanto insolita diretta da Robert Zemeckis. Un Quentin Tarantino emergente, brutale e geniale che gareggiava contro una pellicola dall’immaginario romantico e sognatore, un film che si leggeva come una poesia. Alla fine, Zemeckis ne uscì vincitore, aggiudicandosi sei statuette d’oro. Ventisei anni fa Forrest Gump trionfava, e con lui tutta la sua particolare e prodigiosa normalità.

Ispirato liberamente all’omonimo romanzo di Winston Groom (Sonzogno, 2002), la pellicola, disponibile sulla piattaforma di Amazon Prime Video, percorre – dall’infanzia sino alla vita adulta – le tappe di un uomo dalle capacità cognitive inferiori alla norma (Tom Hanks) nel suo tentativo di omologarsi agli altri e di conquistare il cuore dell’amata Jenny (Robin Wright). Il mitico Forrest diverrà inconsapevolmente partecipe di una miriade di eventi che lo porteranno ad approcciarsi con Elvis Presley, John F. Kennedy, John Lennon, Richard Nixon e tanti altri, trascinando il pubblico attraverso i luoghi e la storia degli Stati Uniti della seconda metà del ventesimo secolo.

Il regista costruisce una macchina del tempo in grado di viaggiare alla scoperta dell’America in tutta la sua bellezza e nelle sue contraddizioni (Forrest Gump partirà per la guerra del Vietnam e diverrà milionario grazie alla pesca dei gamberi, metafora di un capitalismo ancora fortemente sentito e radicato nella società di quel tempo). Zemeckis però non polemizza: il suo racconto mette in scena una carica sensazionale di emozioni e colpi di scena. «Non permettere mai a nessuno di dirti che è migliore di te, Forrest», esordisce la mamma del protagonista (Sally Field), ma Forrest non è mai stato, nemmeno per un secondo, distante dai normali. Quando si può parlare di normalità? Quali infiniti mondi apre questo ambiguo termine? Il film spezza la catena arrugginita e fragile del bullismo e della discriminazione, suggerendo come un ragazzo apparentemente diverso sia in realtà il meno costruito di tutti. Forrest si presenta senza maschera, senza filtri. E le sue parole, benché confuse, risuonano nel caos della menzognera convinzione di coloro che credono di essere migliori degli altri. Iconiche la scena iniziale e quella finale del film con l’immagine della piuma. Il destino si incarna sotto forma di quella leggerezza e sinuosità: ci insegna che siamo il frutto incalcolabile degli eventi occorsi e delle scelte fatte.

Nell’universo di Zemeckis il cosmo disordinato da cui siamo circondati altro non è che una banalissima scatola di cioccolatini («Mamma diceva sempre: la vita è una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita»). Se siamo davvero noi gli artefici e gli artigiani della nostra vita, perché continuiamo a complicarla?

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