Every beat of my heart
Il respiro dei sogni
Molti i poeti che hanno interrogato il sogno. Magistralmente l’ha fatto George Gordon Byron in un poemetto, di cui qui si propone un brano. Per affrontare questi tempi duri, perché i sogni «sui coscienti pensieri hanno un peso e alle fatiche del giorno lo tolgono»
Tempi duri. Ma, come disse Roberto Bettega, «quando il gioco si fa duro scendono in campo i duri». I duri non sono mai stati i bulli, ma i resistenti, coloro che credono, a volte non si bene in che cosa, ma credono. Che hanno compassione, debolezza di fronte al dolore, paura, ma anche ardimento, fiducia. Coloro che non demordono.
Duro oggi accettare una situazione che ci sgomenta: uno scenario fino a un mese fa inimmaginabile dal 25 Aprile 1945, giorno della Liberazione e della nuova vita. Piena di luci e ombre, gloria e tragedie, ma forte, combattiva, reale.
Oggi lo scenario delle nostre città è irreale.
Surreale, come commenta la maggior parte dei cronisti meno esperti e dei testimoni, a conferma che il mio giovanile e perseverante sospetto sul surrealismo, pittura e poesia, come gioco vano e vacuo sul nulla, avesse fondamenti ontologici.
La poesia invece serve anche a riportare in noi il senso della realtà.
Chiusi, giustamente, in casa, superiamo l’insofferenza del prigioniero (che mi ha colpito fastidiosamente, con cui ho lottato), ma recuperiamo la potenza della solitudine, quand’anche forzata, riscopriamo la potenza del sogno, che nel tempo quotidiano normale può svanire, disturbata dal fluire spesso accelerato, a colte nevrotico della vita.
Sempre i grandi hanno interrogato, indagato il sogno, da Platone a Shakespeare, da Alighieri a Yeats e Eliot, a Borges.
I versi che pubblico oggi sono parte di una splendida apologia non trionfalistica ma realistica del sogno, della sua potenza svelante e della sua semplicità naturale, originaria.
Sono tratti dal poemetto Il sogno di George Gordon Byron, un poeta che amo che ho molto tradotto e curato, e presentato a voi lettori.
Qui pubblico la versione di Francesco Dalessandro, (che non conosco personalmente, ma che lodo e ringrazio), pubblicata dall’editore Il labirinto: esemplare, inebriante. Godetevi questi versi, rispondete alla desolazione con la fede nel sogno, che non è incantesimo, ma incanto, cioè conoscenza e visione che supera, non elude, le ambasce del presente.
La nostra vita è duplice: ha un suo mondo
il Sonno che è confine tra le cose
in modo improprio nominate morte
ed esistenza: il Sonno ha un proprio mondo,
sconfinato reame di realtà primitive.
Sviluppandosi, i sogni hanno respiro,
le lacrime, i tormenti e il senso della gioia;
sui coscienti pensieri essi hanno un peso
e alle fatiche del giorno lo tolgono,
dividono il nostro essere e diventano
parte dei noi e del tempo, rassomigliano
a araldi dell’eterno, simili a fantasmi
del passato svaniscono, parlano come
sibille del futuro; hanno il potere,
la tirannia del piacere e della pena;
fanno di noi quello che non fummo, a loro
piacimento, con visioni già passate
agitandoci e il terrore di svanite ombre.
Ma è questo che sono? Non è un’ombra
anche il passato? Cosa sono? Invenzioni
della mente? Capace di sostanza,
sa creare pianeti, la mente, e popolarli
d’ogni più luminoso essere mai esistito,
e sa infondere vita e forme che alla carne
sopravvivono. Ma una visione sognata
forse dormendo vorrei ricordare,
perché nato dal sonno un pensiero,
anche solo un pensiero, in sé comprende
anni e in un’ora racchiude una vita.
George Gordon Byron
Da Il sogno, traduzione di Francesco Dalessandro