Alla riscoperta dello scrittore catanese
Il tesoro di Patti
La nave di Teseo ripubblica tutte le opere di Ercole Patti: un narratore ingiustamente dimenticato che ha raccontato le trasformazioni (e l'involuzione) dell'Italia che scopriva improvvisamente la modernità
Agli scrittori non interessa un granché inventare, quanto, piuttosto, destare un tempo ormai scemato, rincorrere visi noti, camerette abitate, faccende sbrigate o sciupate o, magari, solamente vagheggiate; e conta farlo con scioltezza, sì da farceli considerare più veri del vero. Mai credere, dunque, alla nota che a volte avverte di «riferimenti casuali e frutto della fantasia dell’autore». Così fu almeno per Ercole Patti (di cui La nave di Teseo ripubblica Tutte le opere a cura di Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla, CXLIV-3213, 60 Euro) che per le sue favole scandalose attizzò la brace della mente e lasciò che gli spettri riprendessero a rifocillarsi della vita che li circondava. Queste avventure sono, generalmente, quelle d’un picciotto catanese di buona famiglia che, nei salotti, nei club o nei giardini lussuosi dove si trascorrevano villeggiature di sei mesi, prova a scoprire il mondo.
La rivelazione avviene assecondando il capriccio dell’istinto, lo spasimo verso superbe cose e corpi mirabili: insomma, tutto ciò che si può carezzare, afferrare, che si fa straziare a morsi, senza distinzioni tra stoffe incandescenti e lievi, petali morbidi e aulentissimi o l’incarnato alabastrino «da far perdere la testa anche a un santo» (Un bellissimo novembre), dimodoché «il desiderio della pasta con le melanzane era simile come intensità al desiderio di vedere gli occhi della figlia dell’avvocato» (Diario siciliano). Questi ambigui racconti sono tuttavia talmente schietti e abili a chiamarci in causa da sentirci imbarazzati dello squisitissimo piacere che proviamo ad origliare i sussurri dei cugini adolescenti, di tallonare nipoti invaghiti della zia come altri lo sarebbero di Marilyn.
Sono perlopiù degli oziosi e viziati Gatsby, impettiti per il loro vigore e non tanto per la schiatta o il guizzo dell’intelligenza; ma non si pensi al liso gallismo, visto che Patti ha risvegliato alla sua memoria signorine altrettanto fini e per nulla impacciate, anzi, assai vivaci e spregiudicate nelle loro ambizioni di dominio, com’è, per esempio, Agata (La cugina). Questa, nella sostanza, è la materia oscena eppure candida, dei maggiori libri di Patti, sebbene credo che sarebbe un errore leggerli esclusivamente come lo stemma brillante di un libertinaggio concesso in tempi e classi ormai consumati, in un luogo, la Sicilia di levante, intesa come un’Arcadia felix; al contrario, scegliendo struggenti autunni, una lingua carezzevole ma tenuta a bada dalla clarté, la sicura geometria degli intrecci, egli marca – nei modi prossimi a quelli nietzschiani piuttosto che a quelli dell’abusato confronto con Brancati – le malinconie dell’esistenza e, infine, il sogno mostruoso della morte.
Ora, in un volume possente, Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla hanno, con zelo e amorevolezza, raccolto tutte le sue opere, inclusi dunque i livres des jours di ambientazione romana, i testi teatrali e radiofonici, le utilissime e spassose recensioni cinematografiche, e le hanno accompagnate da saggi necessari a contestualizzarle e da un’estesa cronologia che schiarisce la figura dell’antifascista, dell’intellettuale acuto, del cronista ironico, del narratore signorile. Tra le mani abbiamo dunque un insidioso tesoretto che mette a soqquadro un canone novecentesco che, a quanto pare, andrebbe riaccomodato.