Roberto Verrastro
A proposito de “Il profeta della Germania”

Un teologo per Hitler

Esce in Germania un saggio di Ulrich Sieg che analizza l'influsso di Paul de Lagarde sulla genesi "spirituale" del nazismo: nel secondo Ottocento fu lui a progettare una religione antisemita contro il primato della borghesia

La diagnosi del dottor Julius Rosenbach aveva lasciato scarse speranze. Il 22 dicembre 1891, tre giorni prima di un gelido Natale, Paul de Lagarde morì per cancro all’ospedale Mariahilf di Gottinga, città della Germania centrale, nel Land della Bassa Sassonia. Il 20 luglio 1886, scrivendo il testamento, de Lagarde aveva previsto di istituire una fondazione sua omonima, i cui statuti avrebbero potuto essere modificati non prima del 2027. Il saggio finora più rilevante su de Lagarde, uscito in quel XXI secolo in cui egli immaginava, a ragione, che si sarebbe ancora parlato di lui, si intitola Il profeta della Germania. Paul de Lagarde e le origini dell’antisemitismo moderno (Carl Hanser Verlag, 415 pag., 25,18 euro). L’autore è lo storico 59enne Ulrich Sieg, docente all’università di Marburgo, attento studioso di un tema che, negli ultimi mesi del 2019, è tornato al centro della cronaca tanto in Germania quanto in Italia. Il volume, inedito in Italia come tutti quelli dello storico tedesco, ha attraversato i primi due decenni di questo secolo con l’edizione originale, pubblicata in Germania nel 2007, e con quella apparsa negli Stati Uniti nel 2013 (Brandeis University Press, 368 pag., 34,85 euro).

Paul de Lagarde si chiamava in realtà Paul Bötticher, ed era nato il 2 novembre 1827 nella Berlino di Federico Guglielmo III, il re di Prussia al quale era intitolato il liceo in cui insegnava suo padre, Wilhlem Bötticher, un amico del teologo Friedrich Schleiermacher. La madre di Paul, Luise Klebe, morì nemmeno diciannovenne, dodici giorni dopo il parto. Il padre, che pure si sarebbe risposato nel 1831, non si riprese mai da quel lutto e spinse il figlio a uno studio intensivo della Bibbia. Il piccolo Paul fu allevato da due zie di sua madre, Eleonore Klebe ed Ernestine de Lagarde, in una casa in cui «non c’erano giocattoli ed era vietato ridere», scrive Sieg. Destreggiandosi ottimamente tra latino, greco antico, ebraico, arabo, siriaco, inglese e spagnolo, il 19 marzo 1844 Paul sostenne l’esame di maturità a 16 anni, e poche settimane dopo si iscrisse all’università di Berlino per studiarvi teologia e lingue orientali, laureandosi «multa cum laude» il 14 giugno 1849. Suo padre morì a 53 anni il 6 aprile 1850, lo stesso anno in cui Paul conobbe la futura moglie, Anna Berger, che sposerà il 27 marzo 1854, alcuni mesi prima di quel 9 ottobre in cui fu adottato dalla prozia e finanziatrice Ernestine de Lagarde che, oltre al cognome, alla sua morte nel 1857 gli lasciò un’eredità da spendere in viaggi di studio.

Nel 1852 Paul era stato a Londra, la più grande città europea, che già allora superava i due milioni di abitanti, e nel 1853 conobbe a Parigi l’orientalista Ernest Renan, oltre a un sacerdote italiano. Di quest’ultimo scrisse ad Anna: «Grazie a Dio, sono un tedesco e un protestante». L’idea a cui de Lagarde rimase fedele tutta la vita fu riassunta in una lettera alla moglie dell’8 agosto 1871: «Preghiamo divinità straniere: è questa la nostra sfortuna». Con gli orientalisti francesi e italiani, de Lagarde dialogava nella loro lingua madre, e il 16 marzo 1883 scrisse ad Anna da Torino, a proposito della locale sinagoga rimasta incompiuta: «I mauschels erano troppo poveri per completarla! Ora la città la finisce a sue spese. Nessuna stima per la casa reale». Il termine sprezzante mauschels derivava dal verbo mauscheln, che significava l’incapacità attribuita agli ebrei di parlare un tedesco forbito, ma nello stesso tedesco colloquiale odierno indica inoltre la tendenza a elaborare sotterfugi, un parlare poco chiaro tendenzialmente associato a un agire in modo corrispondente.

Professore ordinario di orientalistica all’università di Gottinga dal 1869, a Pasqua del 1878 de Lagarde, all’età di 50 anni, pubblicò il libro che lo avrebbe reso celebre, i Deutsche Schriften (Scritti tedeschi), una raccolta di saggi e poesie. Il 20 giugno 1861, egli aveva scritto alla moglie che «il vero fine della politica è l’uomo rigenerato». Nell’ultimo saggio della raccolta, intitolato La religione del futuro, de Lagarde sosteneva ora che «la nazione non consiste nella massa, ma nell’aristocrazia dello spirito», dalla quale dipendeva il sorgere di una religione nazionale, strumento di quella rigenerazione, sullo sfondo di una visione ciclica della storia che alimentava la riattivazione di miti nazionali e l’idea di un’Europa centrale a guida tedesca. La definizione hegeliana dello Stato come Selbstzweck, fine in se stesso, fu accantonata nel 1884, nello scritto Programma per il partito conservatore di Prussia, in cui de Lagarde affermava che tutto ciò che esiste serve allo sviluppo spirituale, in quanto «nella vita eterna non sarà presente alcuna traccia dello Stato».

«L’ebraismo, con il suo rifiuto ostinato di una religione tedesca, quasi necessariamente doveva apparire blasfemo. E la libertà di scelta in senso nazionale o religioso riservata agli ebrei acquistava una valenza diabolica», commenta Sieg. I liberali erano gli antagonisti politici principali di de Lagarde, contro i quali è diretto il saggio L’internazionale grigia, contenuto nel secondo volume dei Deutsche Schriften edito nel 1881, che riduce il liberalismo a una visione del mondo materialistica e priva di anima, accostandolo all’ebraismo com’era accaduto nel maggio 1875, quando il quotidiano ultraconservatore Nuova gazzetta prussiana aveva identificato in Gerson von Bleichröder, il banchiere ebreo di Bismarck, il responsabile per la situazione economica critica e l’elevata disoccupazione nell’Impero tedesco nato nel 1871. E nel 1886 de Lagarde, per il quale l’Impero aveva assolutamente bisogno di un centro spirituale per durare, approntò un’edizione ampliata dei suoi Schriften, che suggeriva di risolvere il problema della sovrappopolazione ottenendo dalla Russia uno spazio per gli insediamenti tedeschi e auspicando la spedizione degli ebrei dell’Europa dell’est nel Madagascar.

Nell’ultimo dei 14 capitoli del suo libro (Un precursore del nazionalsocialismo), Sieg ricorda che Hitler era un lettore accanito che nel 1934 assicurò la sua biblioteca privata di circa 16 mila volumi, dei quali circa 1.200 sopravvissero alla guerra, compresi i Deutsche Schriften di de Lagarde in duplice copia, una intonsa, l’altra con numerosi paragrafi fittamente sottolineati o evidenziati con punti esclamativi, come il seguente: «Il monoteismo non è specificamente ebraico. I cinesi, gli indiani, i greci, presumibilmente anche gli egiziani lo hanno avuto: è il risultato necessario del pensiero e privo in sé di qualsiasi valore etico. Il monoteismo è tanto poco religione, quanto la conoscenza del numero di abitanti della Germania è patriottismo tedesco». E dopo aver notato che Essere e tempo di Martin Heidegger, che intendeva smascherare la vita estraniata della modernità, uscì nel 1927, in suggestiva coincidenza con il centenario della nascita di de Lagarde, Sieg conclude:«Hitler e de Lagarde negavano decisamente il mondo borghese, i cui valori liberali interpretavano, delegittimandoli, come una strategia di dominio ebraica. Da ultimo l’idea di una religione nazionale potrebbe essere stata affascinante per Hitler».

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