Pier Mario Fasanotti
A proposito de "La diga sull'oceano"

Pianura Mediterraneo

Osvaldo Guerrieri racconta l'utopia di Atlantropa: il progetto con il quale l'architetto Herman Sorgel, all'inizio del Novecento, per vincere la crisi alimentare progettò di prosciugare il Mediterraneo per farne una grande pianura.

Questa è l’incredibile storia di un architetto tedesco che rincorse per tutta la sua vita un’idea che, a seconda dei decenni, fu considerata geniale, visionaria, pericolosa, folle e, in tempi recenti, scientificamente sbagliata. Prendiamola alla larga: vi ricordate del capitano Kirk del film Star Trek? Uscì nel 1964 e narrava le vicende dell’astronave Enterprise. Un successo mondiale. Nel ’79, uno scrittore americano promosse Kirk ammiraglio. Questi, dall’alto dei cieli si accorse, meravigliandosi, di un’enorme diga sullo stretto di Gibilterra. Fin qui la fantascienza. La realtà la supera: a ideare quella costruzione fu il bavarese Herman Sorgel, inventore di un grandioso progetto, concepito all’inizio degli anni Venti, chiamato Atlantropa. Più un sogno che un progetto, fatto sta che il compunto architetto tedesco ne rimase prigioniero per tutta la vita.

Sorgel aveva osservato e vissuto la miseria succeduta dopo la sconfitta della Germania (1918). Col dollaro che schizzava sempre più in alto, nessuno sapeva quanti marchi potevano servire per comprare un tocco di pane. Si narrava di alcuni che, con i miseri marchi, si accendevano sigari e sigarette, tanto poco valevano. A Berlino non si faceva che dire: «Finiremo in bancarotta». Il governo di Weimar non aveva risposte da dare, almeno a breve termine. Sorgel si preoccupò di escogitare un sistema per evitare simili catastrofi umane. Di qui l’idea di Atlantropa (che qualcuno successivamente chiamò Paneuropa).

Ecco in che cosa consisteva: bloccare lo stretto di Gibilterra e quindi fermare le acque dell’Atlantico. Uguale sbarramento nello stretto dei Dardanelli così da prosciugare il mar Mediterraneo e renderlo così fertile. L’operazione avrebbe scombussolato migliaia di metri di coste, avrebbe unito la Sicilia alla Calabria e la Sardegna alla Corsica. Una sorta di nuova genesi che doveva contrastare ideologicamente quanto conteneva il saggio filosofico di Oswald Spengler (Il tramonto dell’Occidente, 1922). Il tedesco sognava di affratellare popoli, dare un colpo mortale alla dittatura del denaro e alla necessità di ricorrere a conflitti armati. L’ex mar Mediterraneo sarebbe diventato strada facilmente percorribile. In teoria sarebbe stato facile andare in macchina da Tangeri a Genova. Sorgel ricordava una frase di Platone: «Viviamo intorno a un mare come rane intorno a uno stagno». L’architetto, che insegnava al Politecnico di Monaco e aveva costruito alcune villette, non voleva più sentire l’uomo gracidante.

Il progetto Ataltropa (di cui ci parla brillantemente Osvaldo Guerrieri in La diga sull’oceano, Neri Pozza, 190 pg., 13,50 euro) venne alla luce nel 1929. Non era un trattato vero e proprio, ma solo un opuscolo di 48 pagine, che riportava in epigrafe la frase tratta dal Faust di Goethe: «Io amo colui che desidera l’impossibile». Sorgel non sottovalutava la pubblicità, anzi. Desiderava che i giornali diffondessero l’idea di un nuovo pianeta diviso in tre spicchi: una Pan-America a Occidente, un blocco panasiatico a Oriente e al centro, «stretta tra due colossi», l’Europa. Era convinto, da buon tedesco, che il vecchio continente aveva sempre desiderato il Libensraum (lo spazio vitale). Ambizione che Hitler nutriva guardando l’Est (l’aveva scritto in Mein Kampf, nei mesi della sua prigionia). Sorgel si richiamava anche a Charles Darwin quando l’evoluzionista sosteneva che «la lotta per la sopravvivenza è una lotta per il territorio».

La nuova Europa, spinta fino all’interno dell’Africa (con le implicazioni culturali che anni dopo il poeta e politico Senghor sognava col suo pacifismo e con l’anelito all’integrazione) non avrebbe più avuto paura dei mostri politici che le stavano a est e a ovest. In mezzo al Mediterraneo disseccato, gli architetti di grido si sarebbero sbizzarriti nel costruire città e reti stradali secondo i dettami del Bauhaus, la scuola avveniristica nata a Weimar che rivoluzionava arte, architettura e design; poi invisa al nazismo. Ovviamente la capitale di questa super-Europa allargata doveva nascere più o meno all’altezza dell’odierna Sardegna. Riflessi positivi per il continente nero: sarebbero sorti due grandi laghi (Ciad e Congo) e una fitta rete di fiumi che avrebbero svolto, in grande, la funzione fertilizzante del Nilo. Sorgel, tra gli alti e bassi della sua propaganda scientifica, ricordò quanto fu scritto a proposito delle grandi arterie dell’antica Roma: univano le provincie e costavano meno delle guerre.

I giornalisti si buttarono a pesce su questo piano visionario. Il New York Times descrisse ampiamente i propositi di Sorger, L’illustration parigina affermò:«Questo progetto pare realizzabile dal punto di vista teorico» . Il tedesco Kolner Tagebblatt riassunse la diffidenza verso un’eccessiva vicinanza, anzi coabitazione, con i “selvaggi neri“:« Possa il fantastico piano restare un’utopia». Sobrio e realistico il Corriere della Sera: «Un bizzarro sogno tedesco». Il nostro architetto non si risparmiava ( a costo di turbe nevrotiche) tra colloqui, interviste, conferenze, viaggi. Andò in America, di cui fu entusiasta, e studiò a lungo la zona di Gibilterra, Nordafrica, Turchia, Italia. Non si presentava mai come un esaltato. Era pacato e suadente. La macchina giornalistico-pubblicitaria, assieme a vari istituti culturali, si mise in moto. Sorgel fu ben lieto di mostrarsi disponibile per incontri in numerose città. Mostrava anche i suoi disegni (ne fece più di mille in un decennio) e scriveva articoli a getto continuo. La moglie, critica d’arte (sarà lei a lanciare Paul Klee), le offriva sostegno psicologico.

Sorgel progettò anche un libro e si accordò con un editore austriaco (le cose andarono poi diversamente). Si attorniò di valenti collaboratori, tra i quali persone che divennero amici come i colleghi Peter Behrens ed Erich Mendelsohn (che mai lo abbandonerà). Quest’ultimo, come architetto, era molto più famoso di lui: nel ’24 iniziò i lavori della “Torre di Einstein”, appena fuori Berlino. Un osservatorio astronomico. Il grande scienziato, ammirò la forma, ma si limitò a un commento molto distaccato:«Organico». Mendelsohn, ebreo, aveva a cuore il problema millenario del suo popolo e indicò a più riprese la Palestina come potenziale patria di tutti i correligionari sparsi per l’Europa. Uno stato ebraico, “la casa dei padri“. Sorgel lo appoggiò: la sua Atlantropa avrebbe esteso i confini della sognata neo-nazione.

Mendelsohn, a differenza di Sorgel che poco si informava sul nuovo e orribile clima politico tedesco, prese la decisione di lasciare la Germania, dove nel ’33 Hitler promulgò la prima legge sulla razza con la quale escludeva tutti gli ebrei dalla funzione pubblica. L’architetto ebreo era a conoscenza della costruzione di “campi di lavoro“ per i dissidenti e i “nemici degli ariani“. Il nuovo e violento corso politico di Berlino non poteva suonare come una novità. In Mein Kampf, l’ex imbianchino austriaco nonchè pittore fallito era stato chiaro nei suoi deliri: «Gli ebrei non hanno mai fatto nulla di importante, limitandosi a copiare le idee degli altri …sono come i vermi che si annidano nei cadaveri in dissoluzione“.

Sorgel ricevette una lettera di Einsten: «Me ne vado». Ed ebbe modo di riflettere su quanto lucidamente gli aveva spiegato Mendelsohn, ossia che i nazisti innanzitutto erano abissalmente ignoranti, si sentivano in soggezione di fronte ad artisti e scienziati, soprattutto se stranieri. Disse: «Vado per ora in Olanda. Non è la povertà che mi spaventa quanto il fanatismo». Anche l’impolitico Thoman Mann (premio Nobel), pur disinteressandosi dell’uomo coi baffetti che strepitava in modo nevrotico e apocalittico, s’era trasferito in Svizzera. Allo scrittore Hemann Hesse fu vietato il rientro in Germania dalla Svizzera, il filosofo Ernst Cassirer fu costretto ad abbandonare l’università di Amburgo ( di cui fu l’unico rettore ebreo) e riparare a Oxford. Ed Edmund Husserl, l’inventore della fenomenologia, fu radiato dal corpo accademico. La fuga dei cervelli non impensieriva Hitler né i suoi lacchè così ignoranti e così frementi nel dar corso allo sterminio di una razza e ingoiare popoli e territori a est del Reich.

L’ingenuo Sorgel si poneva ovviamente il problema del finanziamento. Pensava a 300 miliardi. Tanti, ma non così tanti se paragonati al costo di una grande guerra. Intanto disegnava e immaginava una torre alta 400 metri (sarebbe stato il grattacielo più alto del mondo) nei pressi di Tarifa, sulla costa spagnola. Sulla cresta della diga di Gibilterra sarebbe partita un’autostrada fino a Tangeri, città che avrebbe avuto sei milioni di abitanti. Le acque atlantiche avrebbero formato una cascata superiore di ben dodici volte a quella del Niagara. Un suo collega calcolò che l’energia così prodotta avrebbe potuto illuminare Francia e Belgio insieme. Le terre emerse con l’essicazione del Mediterraneo e l’arretramento delle coste avrebbero “creato“ 600 mila chilometri quadrati di nuove terre, il doppio dell’Italia.

Quale fu la reazione del governo tedesco? No, no e poi no: Hitler s’infuriava all’idea che gli africani, «uomini che non sono uomini ma mezze scimmie» potessero arrivare in auto nella Germania ariana. La cancelleria di Berlino considerava Sorgel un uomo mentalmente disturbato. La propaganda filmistica lo mise in ridicolo: la sua era solo ridicola fantascienza. Inoltre varie città europee, come Genova, Venezia, spedirono all’architetto di Monaco lettere di protesta. Il conte (fasullo) Volpi di Misurata incontrò Sorgel e gli spiegò che quell’astrusa idea avrebbe fatto diventare Venezia una città morta. Tornato in patria Sorgel pensò di risolvere il problema veneto: una grande diga a una trentina di chilometri dalla laguna. La diga era insomma un’ossessione, basata oltretutto su calcoli sbagliati.

Il 1939 fu l’inizio di quanto sappiamo. Sorgel ricevette dall’America una lettera che raddrizzò il suo umore. Era l’invito della New York Fair Corporation a partecipare a una sorta di Luna Park scientifico. Sorger avrebbe avuto modo, grazie anche alla nascente rete televisiva Nbc, di estendere la conoscenza del suo piano. All’ingresso dei padiglioni ci sarebbe stato un enorme arco formato da un paio di gambe femminili, nude e divaricate. Ideatore: Salvator Dalì. A far da contraltare a questa pacchianata si assicurava la presenza di Albert Einstein.

Sorgel era entusiasta, ma due mesi dopo sentì bussare alla sua porta di casa. Si presentò un tenente delle SS con un soldato. L’ordine era di perquisire l’appartamento. In modo sbrigativo portarono via tutti i documenti di un Sorgel che non si capacitava di quanto stava avvenendo. Chiese spiegazioni. Il tenente, che nel frattempo si fece dare il passaporto dell’architetto («La chiameremo noi, al Comando») gli disse alla fine che doveva considerarsi nemico del popolo tedesco perché il Fuhrer odiava il suo progetto. Stessa operazione nel suo studio: tutto fu incartato e portato via. Anche le chiavi d’accesso. «Perché?» chiese il povero Herman. Risposta:« Per evitare che qualcuno possa entrare». «E io?». «Lei per primo». Addio al sogno americano.

Trascorso il tempo convenuto, Sorgel inforcò la bicicletta e andò al Comando di Monaco, dove tutti, anche l’uscere, mostravano di conoscerlo. Fu fatto entrare nell’ufficio dell’ex meccanico Heinrich Muller, attuale capo della Gestapo. A Sorgel gli amici fidati avevano detto: è una belva gentile, un solitario, un depresso per ragioni familiari (era padre di una bambina mongoloide) quindi ancora più feroce. Il colloquio fu umiliante. Muller gli disse che doveva rimanere in Germania a progettare villette. Sorgel finalmente capì che aveva ragione chi l’aveva ammonito con queste parole: «Guardati dagli infelici e dai puri». Muller definì il progetto Atlantropa «un delirio». E poi: «Meglio così, in questo modo le concedo di salvarsi. Lasci perdere il suo giocattolo…bene, ora se ne può andare». Senza passaporto, ovviamente.

Sorgel, a guerra finita, incontrò nuovamente il suo amico americano (Monaco era zona amministrata dagli Usa). L’allegro yankee gli spiegò che ormai il progetto era da considerarsi superata. Sorgel si mise in contatto con il poeta Senghor, che si dimostrò entusiasta alla proposta di presiedere la fondazione Atlantropa. Ma altro successe. L’amico capitano Campbell gli spiegò che ora il suo paese puntava tutto sull’energia nucleare : « Questa sì un’energia pacifica» ( Sorger gli fece obiezioni intelligenti quanto inascoltate) e inoltre si doveva prendere in considerazione due fatti: la guerra fredda (definizione del giornalista Walter Lippmann) e la nascita dell’Onu.

L’architetto si arrese. Alla moglie disse: «Come vedi, mia cara, adesso tutto è veramente finito, il sogno svanisce». Inforcò la sua bicicletta. Doveva andare alla Camera di Commercio per una conferenza. Era contento di non essere stato dimenticato. Piombò da dietro un’auto e lo travolse. Sorgel morì all’ospedale dopo dieci giorni di sofferenza. La sua ultima frase: « Ho vissuto inutilmente». La sua scomparsa suscitò enorme impressione. Ci furono reportage-inchiesta e qualcuno, notando l’assenza di frenata della misteriosa auto, ipotizzò un’azione dei servizi segreti: tutti sapevano che l’ostinato architetto bavarese si batteva ancora per sganciare l’Europa dall’orbita sia americana che sovietica.

Facebooktwitterlinkedin