A proposito di “Lontano dagli occhi”
Stranezze di vita
Il nuovo romanzo di Paolo Di Paolo parte dalle vicende di tre donne alle prese con la maternità. Proprio intorno al rapporto tra genitori e figli di coagula un nodo vitale fatto di domande e misteri. A dimostrazione che la vita è un sortilegio da scoprire sempre
Il nuovo romanzo di Paolo Di Paolo (Lontano dagli occhi, Feltrinelli, 189 pagine, 16 Euro) “mastica domande”, proprio come uno dei personaggi che animano le tre storie che lo compongono, quel Gaetano appena diventato padre, che vorrebbe e non vorrebbe sentirsi investito da una responsabilità che ha cercato fino all’ultimo di nascondere a se stesso. E proprio ascoltando le parole che sono nella testa di Gaetano, mentre è fuori dall’ospedale dove è nato suo figlio e mangia una pizza, che dal nugolo di domande con cui il lettore è costretto a fare i conti, emerge un quesito che le contiene tutte e che Gaetano esprime nella sua maniera diretta e senza fronzoli: «Com’è che mi sono ritrovato qui? Com’è questa stranezza della vita che mi sballotta come un pulmino scassato e mi deposita proprio qua (…)?».
Lontano dagli occhi è un romanzo di rara e struggente bellezza, anche perché ci mette nelle condizioni di interrogarci con pacata e appassionata inquietudine sulla “stranezza della vita”, a cominciare da quella che si concretizza nella nostra presenza nel mondo, nel posto che ci è stato assegnato (e da chi poi?) in quanto singoli e irripetibili individui. Se siamo qui, ora, in questo angolo di pianeta, com’è che ci siamo arrivati, quante coincidenze sono dovute accadere perché noi accadessimo, quante sono state più o meno consapevolmente evitate perché noi potessimo cominciare il nostro percorso nella vita? Ognuno di noi in fondo è «una variabile tra infinite variabili», una presenza con cui «sorprendere il futuro prima che arrivi».
Lontano dagli occhi è certo il romanzo con cui Paolo Di Paolo ci racconta che «niente ci accomuna come l’essere figli», è certo un romanzo sulla maternità e sulla paternità («Un uomo che sta per diventare padre non lo riconosci da niente», così comincia la storia), soprattutto quando avvengono in maniera inaspettata e in età giovanile, ma è anche molto altro: innanzitutto il resoconto della nostra apprensione di fronte all’impossibilità di essere totalmente figli così come di essere fino in fondo soltanto genitori. Ancora di più: è il tentativo di usare la letteratura per colmare i vuoti con i quali ogni esistenza deve necessariamente fare i conti, di far sì che le parole servano a restituire quello che si è perso, a ridare luce alle zone d’ombra, perché «le parole fanno esistere». Infine è chiedersi dove ci avrebbe portato tutto quello che poteva accadere e non è stato, «quello che non facciamo, che non sappiamo fare, che non abbiamo fatto», insomma quel tutto o quel tratto di vita potenziale che «continua a lampeggiare con la sua luce verde, di là da un molo!,
Paolo Di Paolo, come già avveniva nelle precedenti prove narrative, ma in questo caso con più forza e avendo precisa davanti a sé una sua idea dell’esistenza, ha la capacità di parlare sommessamente, come se le parole venissero appunto di lontano, riuscendo però ad arrivare vicino ai nostri sentimenti e a far emergere le nostre emozioni. Attraverso una prosa limpida nella sua semplicità quasi colloquiale, che sembra partire sempre da una zona interna, dall’interiorità più profonda dei personaggi, ci mette di fronte alla complessità della vita.
Il romanzo si sviluppa intorno alle vicende di tre giovani donne, Luciana Valentina e Cecilia, alle prese con il sopraggiungere di una maternità che le sorprende, le inibisce, le incuriosisce e con cui cercano di fare i conti, anche se spesso in maniera conflittuale. Accanto a loro ci sono, o dovrebbero esserci, degli uomini ancora però troppo immersi nel ruolo di figli per poter pensare di diventare padri. Quello che più conta è che l’occhio esterno del narratore non è per nulla oggettivo ed estraneo, anche se in effetti nemmeno può dirsi personaggio della storia. È colui che racconta per ricostruire, per fare sì che una storia si realizzi, che si compia il passato, per narrare innanzitutto a se stesso «nove mesi e un giorno, molto vicini al cuore», in modo che possano finalmente legarsi a «una vita intera, lontano dagli occhi».
La vicenda è ambientata nel 1983, che è poi l’anno di nascita dell’autore. La Storia, come già avveniva nei precedenti romanzi, entra nella vicenda nel momento in cui è una storia ancora con la minuscola, fatta di avvenimenti e di atmosfere che si attaccano agli abiti e alle vite dei protagonisti, senza che questi nemmeno se ne accorgano. Di Paolo è bravissimo a farci cogliere la condizione culturale e sociale di un periodo, senza imporre paesaggi stereotipati, nemmeno grandi immagini, semmai solo richiamando un brano musicale, un evento marginale, quale può essere la cerimonia per festeggiare i quaranta anni in politica di Giulio Andreotti, con la presenza tra gli invitati della deputata pornoattrice Ilona Staller, la cui figura si muove tra alti prelati e ambasciatori, divi televisivi e attori popolari come Sordi e la Lollobrigida e “la claque venuta apposta dai paesini della Ciociaria con tanto di gonfaloni”.
A differenza di tanti suoi colleghi, che fin troppo ostentatamente vorrebbero spiegarci il mondo e pretestuosamente inseguono la composizione della loro Opera Mondo, Di Paolo il mondo ce lo racconta senza gridarlo e senza spiegarlo, ma anzi mettendoci di fronte a tutte le incertezze e ai mille interrogativi che animano e compongono le nostre singole esistenze, e mette in scena, senza teorizzarlo, il proprio affetto per l’umanità, per i suoi difetti e le sue insicurezze, soprattutto guardando a quella parte di umanità più giovane, di cui Di Paolo sembra comprendere tutte le fragilità. L’autore segue i suoi personaggi con un occhio sempre premuroso, quasi sempre affettuoso, anche quando affiorano atti di viltà e bassezze morali.
Come uno dei personaggi del romanzo, anche Paolo Di Paolo «non è preoccupato se non capisce». Anzi, proprio dal non capire possono nascere tante domande e la volontà di ricostruire raccontando. «Il lontanissimo lo affascina spesso più di ciò che ha sotto il naso. Inforca gli occhiali e si prepara a decifrare curiosi scarabocchi, grafici che indicano misteriosi transiti di pianeti e satelliti. Meccanica celeste! È un’espressione che gli piace», dice di un infermiere, affascinato dalla vita dell’universo e costretto a prestare assistenza a neonati sfortunati.
Anche Di Paolo è affascinato dal lontano, anche perché non sempre lontano dagli occhi significa lontano dal cuore.
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Accanto al titolo, Pablo Picasso, “Madre e figlio saltimbanco”, 1905