Cartolina dall'America
Impeachment!
Ormai la strada dell'Impeachment è segnata: Donald Trump ha commesso troppi errori nell'ucrainagate. Ma la procedura contro di lui (complessa e difficile da portare fino in fondo) gioverà all'America o all'ego battagliero di un presidente-ultrà?
L’impeachment nei confronti di Trump diventa sempre più vicino. La CNN ad ogni momento annuncia che ci sono prove sempre più numerose e stringenti che autorizzerebbero la procedura contro il presidente. Ma, per capire che cosa sta succedendo davvero, dobbiamo prima capire che cosa è l’impeachment nei confronti di un presidente americano. Solo dopo potremo chiederci, in questo caso, a chi gioverebbe.
Senza entrare nello specifico di una procedura molto complessa si può a ragione dire che nel caso di qualsiasi figura pubblica è l’accusa di un comportamento gravemente scorretto che, come in questo caso, mette in pericolo i pilastri della democrazia americana. Per diventare effettivo tuttavia questo procedimento deve essere approvato dai due rami del Parlamento, dal Congresso. Cosa che, essendo solo la House of Representatives a maggioranza democratica, mentre il Senato è a schiacciante prevalenza repubblicana, risulta già difficile di partenza. Negli ultimi cinquanta anni se ne ricordano solo due: la prima iniziata nei confronti di Richard Nixon durante il famoso Watergate e mai portata a termine, perché il presidente si dimise prima e l’altra quella nei confronti di Bill Clinton per l’affare Lewinski che non fu mai approvata dal Congresso.
E a proposito dei criteri circostanziati che dovrebbero guidare tale processo proprio il New York Times fornisce un elenco di quesiti importanti a cui il procedimento di impeachment dovrebbe rispondere. Il primo riguarda l’accusa che si muove al presidente Trump, cioè quella di avere infranto la legge facendo pressioni sul presidente ucraino Volodymir Zelensky (nella foto con il presidente Usa) per aprire un’investigazione nei confronti del figlio di Jo Biden, il suo concorrente più agguerrito e pericoloso alle prossime presidenziali del 2020. Il presidente ha anteposto il proprio interesse personale a quello del paese, interpellando una potenza straniera. Qualcosa di non nuovo al presidente Trump che già era stato messo sotto accusa dal rapporto Mueller sul Russiagate e poi assolto dall’avere dalle cospirato con la Russia di Putin durante le precedenti elezioni presidenziali nelle quali aveva sconfitto Hillary Clinton. Anche qui aveva cercato la complicità dell’autocrate russo per battere la sua avversaria. Una cosa senza precedenti che ha fatto parlare a suo tempo di alto tradimento.
La seconda questione ha a che vedere con la sorte di quello che è stato detto in una registrazione poi trascritta, da parte del presidente americano a quello ucraino. Appare sempre più evidente il tentativo di nascondere al pubblico le vere intenzioni di questi rapporti. La terza riguarda la cronologia visuale di come Trump e i suoi alleati hanno fatto pressioni sul paese ucraino per investigare un avversario politico. Cosa hanno promesso in cambio del favore che hanno chiesto? La quarta: perché ora? La talpa ovvero quello/a che viene definito/a the whistle blower, colui/lei che ha denunciato questo atto illegale, ha detto che alcuni dipendenti della Casa Bianca hanno ritenuto di essere stati testimoni, più di un mese fa, di un abuso di potere da parte del presidente Trump per scopi politici personali.
La quinta incognita riguarda come Trump risponderà a queste accuse. Ha già detto che la battaglia dell’impeachment costituisce un elemento positivo che rafforzerà per lui la possibilità di vincere le elezioni per un secondo mandato l’anno prossimo. Giovedì scorso Trump ha definito la talpa come una spia che meriterebbe, assieme a coloro che gli hanno fornito le informazioni, di essere processato per altro tradimento ed essere punito come si faceva una volta. Si pensa si riferisca alla pena di morte. I media che riportano la notizia d’altra parte sono stati tacciati di essere corrotti (crooked).
A questi elementi si aggiungono i comportamenti ufficiali della Casa Bianca che ha cercato di spostare tra i documenti classified, cioè segreti, le registrazioni delle telefonate tra Trump e il presidente ucraino. Queste invece fanno parte della documentazione ordinaria dei rapporti tra capi di stato. Inoltre anche il ministro della Giustizia William Barr sembra essere coinvolto, assieme all’avvocato personale di Trump, Rudolph Giuliani, assolutamente estraneo all’amministrazione presidenziale, nell’occultamento di documenti al pubblico e al Judicial Committee del Congresso. Cosa quest’ultima molto grave in quanto un personaggio al di fuori dello staff presidenziale ha avuto la possibilità di visionare e interferire negli affari interni dell’amministrazione.
Ebbene in attesa di conoscere se il procedimento andrà avanti, come sembra, dalle ultime dichiarazione della portavoce della House, Nancy Pelosi che oggi accusa apertamente anche il ministro della Giustizia di avere fatto parte della cospirazione per coprire coloro che hanno secretato documenti (un cover up del cover up) per loro natura pubblici e di non essere stato fedele al mandato assegnatogli, going rogue, vediamo a chi questa mossa, se andrà in porto fino in fondo, può tornare di vantaggio. Insomma cui prodest?
Sebbene pensi che appare sempre più necessario fare qualcosa nei confronti di un presidente che si mangia ogni giorno la credibilità di un paese che è stato un simbolo universale di democrazia, capisco anche che Trump, uomo dei media, conta su uno zoccolo duro a cui promette cose che poi non mantiene, ma che tuttavia fa sentire bene. Infatti gli restituisce un orgoglio perduto negli anni e aggravato dalle frustrazioni di una crisi, quella del 2008, da cui il paese non si è ancora ripreso completamente. E dunque giocare il ruolo di vittima di un complotto ai suoi danni, può favorirlo. I repubblicani d’altra parte seppure divisi, (c’è infatti una minoranza che vorrebbe Trump fuori dal partito, tra cui quel Mitt Romney che partecipò alle presidenziali anni fa), in maggioranza fanno quadrato intorno al presidente, senza capire il danno che fa al loro stesso partito e alla politica in generale. Ma i repubblicani hanno ormai smesso da anni di pensare in grande (sono lontani i tempi Eisenhower), di battersi per il bene comune. Basta vedere l’ostruzionismo parlamentare che hanno ciecamente praticato durante la presidenza Obama per capire come sono arrivati in basso. L’idea tuttavia di avere come presidente Mike Pence, il vice di Trump, mi preoccupa in modo esponenziale, conoscendo i suoi precedenti politici.
I democratici d’altra parte non sembrano trovare una strategia vincente e un concorrente di carisma per le prossime elezioni: ai dibattiti si presenta regolarmente un esercito di candidati non tutti qualificati e in grado di competere per conquistare la presidenza degli Stati Uniti. Con essi Trump può facilmente praticare un gioco al massacro, eccetto che con Jo Biden e con Elizabeth Warren. Certo, la pratica di impeachment potrebbe costituire un modo di rialzare la testa, di mostrare il recupero necessario di una spina dorsale, da tempo necessaria al partito, per ristabilire la saldezza dei principi democratici e di giustizia sociale che sono quotidianamente messi in pericolo da questo presidente. E che invece Obama aveva cercato con coraggio di riportare in primo piano.