Matteo Pelliti
Lapis

Noi fuori da noi

Il vagabondare notturno della dea Insonnia ci porta alla lettura di "Fuori da noi", una raccolta di saggi autobiografici di Giovanna Zoboli (Nuova Editrice Berti, 2019) sulla "favolosità del familiare"

L’insonnia è una grande alleata della lettura. La notte, la casa buia e ferma, il rumore di fondo della città attutito, sono tutti amplificatori della capacità immaginativa che dalla lettura trae slancio. Mi è capitato di leggere di notte “Fuori da noi”, raccolta di saggi autobiografici di Giovanna Zoboli (Nuova Editrice Berti, 2019).

Le pagine sui ricordi di scuola al parco Trotter scorrono via fantastiche, così come quelle sulla poetessa Wisława Szymborska. Articoli, che nella forma ibrida e originale di saggi narrativamente autobiografici erano stati in parte precedentemente pubblicati sul sito di Federico Novaro, in una rubrica titolata “Notizie da nessun luogo”, su carta risplendono ancora di più, l’ironia dell’autrice riluce e la ricercatezza lessicale tutta sua, naturale, è un vero godimento per il lettore. Una saggistica autobiografica preziosa, viaggi che fanno venire voglia di viaggiare e libri che fanno venire voglia di leggere. E poi il gusto di spiare le sorelle Zoboli fanciulle (Giovanna, futura scrittrice, e Francesca futura artista visuale) un po’ come quando nei libri di Giorgio Conte trovi gli aneddoti sul fratello Paolo.

Ogni libro è sempre un veicolo più che uno specchio in cui confrontarci: ci porta da qualche parte, magari ad altri libri (e in Fuori da noi c’è una ampia bibliografia di libri citati rappresentata graficamente come una vera piccola libreria portatile), è un mezzo, un veicolo potente appunto. E questo libro è un gran bel modo di viaggiare. Ora, l’autrice è ancora troppo giovane per pubblicare una corposa autobiografia per immagini, ma Fuori da noi è anche sinceramente e potentemente immaginifico, fotografico, e certe cose raccontate proprio te le fa vedere: certi  lavandini rosa, delle librerie di casa, una collezione di fucili da caccia, un tavolino ottagonale nella camera d’infanzia, le vacanze, gli incontri. Mi ha ricordato da vicino proprio un libro di ricordi fotografici come “Asteruscher” di Michele Mari, uscito per Corraini qualche anno fa. Voglio riportare, un breve passo, in cui l’autrice conclude il racconto di una casa di vacanze frequentata su Lago di Garda:

Scendeva, infine, la sera su quelle nostre giornate eterne ed eroiche, trascorse fra un continente e l’altro. Al calare del buio, riuniti per la cena, dalle vetrate della casa vedevamo accendersi le luci sulla riva di fronte. Gli adulti ci dicevano che erano le luci di un paese che si chiamava Limone, un nome che mi pareva favoloso, nella sua familiarità. Ancora oggi, per me (per cui il giorno e la notte sono due luoghi gemelli, ma lontanissimi, inaccessibili l’uno all’altro, che si fronteggiano stupefatti), quel paese vive in una sorte di notte eterna, di cui nulla sa il doppio diurno, una notte creata apposta perché le sue luci color limone non si spengano mai.

Appare prodigiosa in Giovanna Zoboli non tanto la capacità di riportare momenti luminosi dell’infanzia vissuta, quanto di riprodurre i moventi psicologici, immaginativi di quella infanzia come parti costitutive dell’identità adulta. L’età adulta non più intesa come “evoluzione”, ma come frutto che conserva, mantiene, il seme di quelle intuizioni infantili. Ecco, Fuori da noi riesce a racconta la favolosità del familiare, che  forse solo l’infanzia riesce a cogliere appieno. E riuscire a farlo è davvero un bellissimo risultato.

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