Caos nella cultura romana
Macro disastro
L'assessore Luca Bergamo e il presidente di Palaexpo Cesare Pietroiusti licenziano in tronco, senza motivazioni, Giorgio De Finis, che aveva cercato di dare un senso all'attività del Macro. Una sconfitta per l'arte, non solo per la città
Che brutta commedia va in scena al Macro dove, a sei mesi dalla scadenza del mandato, il direttore artistico Giorgio de Finis ha saputo da un anonimo comunicato dell’azienda Palaexpo che la sua esperienza poteva considerarsi conclusa. L’unica chance di continuare è affidata a un concorso malamente annunciato per l’assegnazione della sua poltrona, che lo obbligherebbe a mettersi in fila insieme ad altri aspiranti. Un modo per dirgli di farsi da parte, metterlo al bando come un abusivo, perché era stato insediato dall’assessore alla cultura capitolino Bergamo con un affidamento ad personam senza gara, con il compito di trasformare il museo di via Reggio Emilia in un palcoscenico accogliente e aperto a tutti gli artisti per indagare nuovi possibili rapporti tra i linguaggi della creatività contemporanea e le istanze sociali della città. Glielo avevano rinfacciato molti addetti ai lavori come una ferita alla legalità, quell’ingresso agevolato in cabina di regia, bollandolo con velenoso malanimo come un intruso senza titoli. Due accuse immotivate.
Smentita dai fatti la prima, che la magistratura ha ignorato, ma giustificata almeno da un’implicita richiesta di trasparenza e di confronto sulle scelte che riguardano la gestione della città. Ingiustificabile sotto il profilo culturale la seconda perché Giorgio de Finis il titolo se l’era ampiamente conquistato sul campo, trasformando una fabbrica in disarmo occupata in estrema periferia in uno straordinario scrigno d’arte e messaggi di rivolta sociale, il Museo dell’altro e dell’altrove. L’esperienza più vitale e contagiosa di questi ultimi pigri anni romani.
Coraggioso l’assessore Luca Bergamo nell’affidargli la guida del Macro, precipitato in un’agonia senza fine e in una vistosa crisi d’identità, accettando di sperimentare per un anno il progetto di museo-asilo disegnato da Giorgio De Finis. Pavido e incoerente nello sfilargli la poltrona a lavori in corso, senza un commento, una giustificazione. Come? Lasciandolo prima annaspare a vuoto: nessuna risposta al nuovo piano che de Finis aveva presentato per il 2020, secondo i tempi e i patti che avevano concordato. E affidando poi l’imbarazzo di una presa di posizione ufficiale di negato rinnovo all’azienda speciale Palaexpo che vigila sulla sorte del Macro. Un capolavoro d’ipocrisia il comunicato diffuso senza alcuna firma. Un prologo in cui si esalta senza riserve l’esperienza «innovativa» del Macro-Asilo. E poi la doccia fredda di un seguito in cui si annuncia il cambio di rotta, con la decisione di mettere a concorso la direzione del complesso di via Reggio Emilia, libero Giorgio de Finis di parteciparvi se vuole.
Chiamando a concorrere chi, con quali criteri, con quali obiettivi? Invece di rispondere a queste domande, la nota si sofferma a spiegare il futuro percorso della casa-madre, cioè del Palaexpo. E del polo del contemporaneo di cui gli è affidato il presidio. Vaghe le indicazioni programmatiche: ribadita l’attenzione alla divulgazione scientifica, ribadita l’idea di coinvolgere a una partecipazione più diretta i visitatori, lasciando libero l’accesso al piano inferiore. Per illustrare il cartellone futuro, tarato su attrazioni anche di presa popolare, solo l’anticipazione di qualche mostra in arrivo.
Le anticipazioni più precise riguardano i padiglioni del Mattatoio e il complesso della Pelanda a Testaccio, cui è stato assegnato fra gli altri il compito di aprire in due nuovi spazi un laboratorio di arte culinaria e di ospitare una scuola permanente di arti performative. Guarda caso è proprio il campo da cui proviene il nuovo presidente del Palaexpo, Cesare Pietroiusti, un artista performer, selezionato dalla giunta grillina.
Il comunicato non è firmato. Ovvio, comunque, attribuirne a Cesare Pietroiusti la paternità. Peccato che nell’esautorare il suo collega e compagno d’avventura de Finis non abbia sentito il bisogno di metterci la faccia. Ma perché avrebbe dovuto, visto che neppure l’assessore e vicesindaco Bergamo lo ha fatto, né lo ha fatto la giunta grillina in Campidoglio nel suo complesso, che non ha mai benedetto con la presenza dei suoi più autorevoli esponenti il nuovo corso del Macro-Asilo. Più che comprensibile immaginare che il siluro che affonda in alto mare il vascello del Macro Asilo sia partito da là, nel confuso e opaco clima di patteggiamenti e altolà incrociati che sta caratterizzando i rapporti all’interno del governo lega-Cinquestelle.
Troppo anarchico, incontrollabile, sbilanciato a sinistra il popolo che in questi mesi ha frequentato e animato le intense giornate del Macro con proposte e utopie di inclusione sociale in gran parte provenienti da quei territori emarginati di periferia sui quali Salvini si è arrogato l’esclusiva e i grillini, compreso la sindaca Raggi, non sanno che fare. Troppo eversiva per la casta che controlla il sistema dell’arte quell’aprire la porta agli artisti senza preclusioni, accettando con qualche comprensibile filtro chiunque ne rivendicasse l’identità e la annesse responsabilità, cercando la scintilla della creatività anche nelle voci e nella voglia di cambiamento degli attori del conflitto sociale e dell’emarginazione. Non Abbattiamoci, Battiamoci, proclama sul suo sito web Giorgio de Finis, amareggiato e tradito. E sgranando a sua difesa le cifre della sua gestione. In 6 mesi 151mila ingressi, 636 artisti che hanno risposto all’appello, 2635 eventi. Dati che ognuno può maneggiare come vuole. Più interessante sarebbe un bilancio approfondito. Un saldo comparato di azioni di successo, travisamenti, lacune ed errori. Molti dei quali io stesso ho più volte rilevato su queste pagine. Primo fra tutti, l’aver preferito dar la parola agli artisti più che alle loro opere. Alla vanità dell’esserci più che alla sostanza. Lo stesso de Finis deve esserne accorto, dichiarando che tra le novità che avrebbe voluto mettere in scena per il prossimo anno c’era anche l’idea di aprire l’ampio spazio della grande sala a elle del pianoterra ad un ciclo mirato di mostre ad invito.
Una sconfitta per tutti che non se ne possa discutere francamente, magari rileggendo gli atti registrati che restano a testimonianza degli incontri di riflessione e dei dibattiti, più preziosi dei tanti selfie con cui il popolo in transito dei visitatori e degli autori ha immortalato il proprio passaggio.