Andrea Carraro
A proposito di “Polvere per scarafaggi”

Ai margini di Napoli

I personaggi dei nuovi racconti di Nando Vitali vivono ai margini della società: ne sono stati espulsi. Eppure le loro pulsioni (positive o negative che siano) rappresentano l'essenza del vivere. Senza mediazioni: nessuno è da dannare, nessuno da salvare

Il personaggio-tipo dei racconti di Nando Vitali – Polvere per scarafaggi (ad est dell’equatore edizioni) – è un reietto della società, un vagabondo ubriacone, un vecchio in fondo a un pozzo, nella melma, che osserva «la luna in alto nel buio nella grazia della luce che hanno gli astri nell’enigma della notte», un’immagine che mi ha fatto pensare a Schlinder’s list, con il bimbo ebreo – Osak forse – nascosto nel fondo della latrina fra gli escrementi, l’unico ricovero che è riuscito a trovare, che guarda fuori, in alto, pregando di non essere visto dai nazisti durante i rastrellamenti del ghetto; e poi, troviamo una nana, un povero deforme, con tre gambe costretto dalla propria menomazione a lavorare nel circo, «E poi i personaggi della commedia degli ultimi – come spiega il critico de Core nella lucida empatica Introduzione – quelli che si tengono fra di loro in sostegno solidale o si ammazzano per un nulla, perché di nulla ormai è fatta la quotidianità disastrata…». Ma c’è anche un folgorante e insolito racconto di un aviatore americano che torna sul luogo della bomba che aveva sganciato su Hiroshima – il racconto si chiama proprio Hiroshima – per il senso di colpa che ancora lo tormenta: «Lei una volta gli aveva chiesto se si fosse mai pentito. Ma Paul non aveva risposto». E ancora, due bimbe destinate al martirio in una Capri insolita, notturna, temporalesca, insidiosa, post-apocalittica, davvero lontana dagli stereotipi estivi vacanzieri – significativamente chiamate, le due bimbe, Sabra e Chatila, in memoria della strage. Oppure possiamo imbatterci in vecchi operai degli altoforni di Bagnoli fiaccati dalla vita, offesi dal lavoro: «Lo schizzo metallico era partito come un proiettile, una pietra lanciata nello stagno arroventato della colata di acciaio»…

Napoli c’è, è presente in questi racconti, come in tutta l’opera di Vitali, ma, come dice giustamente de Core, «della napoletanità fa un uso parco, e comunque funzionale alle storie…». Come nei romanzi, anche in questi racconti – i vivi e i morti sembrano abitare mondi non del tutto separati, e ogni tanto fra le crepe le fessure i varchi essi comunicano, in modi anche enigmatici, misteriosi. Così come il sogno e la realtà convivono spesso in una rappresentazione anche onirica, visionaria. Sono racconti attraversati dal male, dalla morte, dalla violenza anche sadica, ma anche dalla pietas, e poi dall’amore, che nasce, può nascere, anche fra i detriti, presso la massicciata della ferrovia, fra esseri imperfetti, marginali, malati che per qualche miracoloso incantesimo si piacciono, si trovano meravigliosi. Mi piace molto la scelta dell’epigrafe di David Cronenberg: «La maggior parte degli artisti sono attratti da ciò che è nascosto, proibito, tabù ecc.». Con la sua Mosca evocata in copertina, Cronenberg è un cineasta/scrittore poliedrico, fra i più grandi in circolazione, attratto dalle lacerazioni del corpo, dalle ferite, dalla violenza, dal post-umano in molte sue declinazioni (biotecnologie, informatica ecc.)… mentre i personaggi di Nando Vitali – lascio la parola al critico: «sono residui, scarti di una società complessa e involuta […] storie di vita e di morte nel ventre gonfio della marginalità…».

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