Pier Mario Fasanotti
A proposito de "Il resuscitatore"

Frankenstein è italiano!

Lorenzo Beccati racconta la storia di Giovanni Aldini, scienziato con un gusto macabro e teatrale che, attraverso l'elettrostimolazione, credeva di ridare vita ai cadaveri (prima di Frankenstein). Ma nella riprovazione generale

L’idea di Frankenstein è italiana, non inglese. Come tale, erroneamente ancora oggi, s’intende un mostro terrificante, deforme e dalla forza sovrumana. In realtà Frankenstein era lo scienziato ginevrino Kurt, quindi “padre“ del mostro e non “figlio“. Diventò fortunata creatura letteraria della poetessa inglese Mary Shelley (moglie del poeta Percy, annegato a Lerici) che pubblicò l’omonimo romanzo nel 1826 a soli 19 anni. Complice anche Lord Byron, i coniugi Shelley fantasticavano attorno a una realtà provata, ossia gli esperimenti che il docente di Fisica a Bologna, Luigi Galvani (finito poi in miseria), praticava sulle rane morte, cui applicava elettrodi e le faceva saltare, come se fossero improvvisamente ravvivate sia pure per una durata brevissima. Divenne l’antesignano dell’elettrostimolazione (per il cuore, ovviamente, e non per le rane). Il nipote di Luigi Galvani, pure lui cattedratico (Fisica sperimentale) nel capoluogo emiliano, si chiamava Giovanni Aldini, il quale, per evitare le restrizioni legali riguardanti l’“uso“ dei cadaveri, partì per Londra. A seguire queste vicende, con buona documentazione e ampie parentesi romanzesche, è Lorenzo Beccati, soggettista e scrittore genovese il cui nuovo libro, Il Resuscitatore, che si legge come un thriller di buona fatta, è stato pubblicato da DeA Planeta (216 pag., 16 euro).

Aldini sbarca nell’Inghilterra dai forti contrasti sociali, la cui miseria e il cattivo odore ricorda da vicino quella descritta da Charles Dickens. Appena lontano dal molo, infastidito da petulanti e questuanti, ha la fortuna di assoldare un ragazzo sveglio, Scott, che gli farà sia da guida sia da complice quando lo scienziato italiano cercherà un cadavere non così malconcio e, potremmo dire, “fresco“ di morte. Avendo anche una certa vocazione teatrale, Aldini sarà additato come “il resuscitatore”. Già a Bologna provocava con i suoi esperimenti accademici curiosità morbose e svenimento di giovanette sensibili.

In un appartamento preso in affitto, adibisce una camera a laboratorio. Attorno c’è quel miscuglio di nobiltà, povertà e depravazione, un mix tipico di una Londra senza un sistema fognario e con servizi che di quelli igienici erano solo una pallida ombra. Per non parlare della corruzione dilagante, che non risparmiava nemmeno l’autorità sia poliziesca che giudiziaria. Londra è città anche di vizio. Non ne è immune anche il fanatico gesuita Balthus, fin dall’inizio osteggiatore dell’italiano, che accusa di turpe “commercio di morti“ e di “demoniaci esperimenti“. Tra il prelato (accanito stupratore di popolane sotto ricatto) e lo scienziato bolognese, a parte la diatriba pseudoreligiosa, inizierà una serie di duelli a distanza, uno dei quali metterà in seri guai Aldini, a tutti gli effetti innocente (ma in questa sede non riveliamo il vero uccisore del sacerdote).

L’astuto Scott, abilissimo nel far commercio di “informazioni“ (leggi: millanterie, spiate e ricatti), offre la possibilità ad Aldini (che per stress fa uso disinvolto di laudano) di “operare“ sul corpo di un condannato a morte, cosa legalmente lecita previa autorizzazione giudiziaria. È sempre Scott a sveltire le pratiche conoscendo le consuetudini sodomitiche che lo rallegrano in presenza di giovinetti. Newgate è la più sordida prigione di Londra. Aldini e Scott riescono a entrare: finestre a bocca di lupo, tanfo nauseante, catene, torture. Dopo una trattativa con il boia, viene individuato il soggetto giusto, tale Geroge Forrest, accusato di aver ucciso a coltellate moglie e figlio. Aldini lo osserva da vicino, si assicura del suo stato di salute, la stazza, il colorito. Gli esamina anche la bocca, manco fosse una bestia, e si assicura dello stato di altri organi, scroto compreso.

L’autore, che alterna passato e presente del suo personaggio per garantire che la sua fama sia di tutto rispetto accademico, crea attorno ad Aldini – che molti chiamano “l’italiano“ con una vena di disprezzo: da quale pulpito! – un crescente clima di sospetto, a tal punto che i gendarmi lo minacciano e lo chiudono in carcere. Se la cava, ma con artifici che alla lunga rischiano di non reggere.

Aldini, per una serie di accadimenti, si trova dinanzi a una sinagoga. Normalmente ai non credenti il passo è vietato. Ma a lui no. Anzi lo rassicurano: i rabbini hanno a loro dire il dono d’infondere la scintilla della vita: il golem. È una creatura di fango sulla qui fronte è incisa la parola “emet“ (verità). L’italiano percorre ampi spazi interni e si trova dinanzi al giudice corrotto, che gli rilascia il permesso di prelevare il cadavere di Forrest, appena sarà impiccato in piazza. Con un marchingegno, l’uomo senza ormai vita, viene portato via su un carro, all’insaputa degli astanti. Abbiamo accennato alla vocazione teatrale di Aldini. Ebbene, in un teatro stracolmo, il cadavere, steso su una panca, avrà sussulti e orrorifiche smorfie a seconda dell’intensità della corrente elettrica. Altri spettacoli di questo genere rendono poco rassicurante la presenza dell’italiano in Inghilterra.

A complicare l’intreccio s’affaccia la rabbia della madre dell’impiccato. Aldini gioca una carta pericolosa per sottrarsi all’ira del quartiere, e non solo: le promette di dimostrare l’innocenza di Forrest. Impresa ardua per chi non ha le doti dell’investigatore. Eppure tenta, e dopo pagine di suspence, il lettore si convince che il killer non aveva alcuna colpa. Nelle ultime pagine tutta la vicenda rischia di ritorcersi contro Aldini. Per colpa di un insospettabile (di cui ovviamente non diremo). Per lo scienziato bolognese tornare a toccare il suolo italiano è un sollievo. Si reca a Milano, ma sarà qui che apprenderà della morte dell’illustre zio, spirato senza denari e solo con la magra soddisfazione di avere davanti a sé numerosi attestati scientifici e onorifici. Lorenzo Beccati, l’autore del romanzo semi-verità tiene col fiato sospeso il lettore. Lo fa con linguaggio svelto e ambientazione molto precisa.

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