Visto al Teatro Torlonia di Roma
Elena Arvigo: una e trina
Genovese, classe 1974, si forma nella danza, e poi decide di dedicarsi al teatro, perfezionandosi sotto la guida del grande Giorgio Strehler. È Elena Arvigo, attrice versatile e introspettiva, a cui il Teatro di Roma ha deciso di dedicare un ritratto d’artista in tre puntate
Sette donne, tre autrici, tre personaggi diversi – una sola interprete. È con questa sintetica affermazione che si può tentare di racchiudere il senso di Trilogia Arvigo, la rassegna di monologhi che l’attrice ligure ha proposto nella splendida cornice del Teatro Torlonia, ultima sede (in ordine di tempo) del Teatro Nazionale di Roma. Solista di talento e tra le artiste più intense e sensibili della scena contemporanea. Diplomata nel 1999 alla Scuola del Piccolo di Milano, dove si è formata con maestri del calibro di Giorgio Strehler, dal 2009 ha cominciato ad occuparsi di teatro non solo come interprete ma anche come regista, in regime di completa autoproduzione. Da questi anni di lungo e paziente lavoro sui testi e sulla loro interpretazione, nasce ora il trittico di monologhi di questo inedito “ritratto di artista”, in cui Arvigo si è cimentata con successo in tre ruoli femminili intensi e molto diversi fra loro. I tre spettacoli si sono tenuti in successione uno ogni sabato (con una replica la domenica pomeriggio) e hanno riscosso un buon apprezzamento di pubblico.
La serie si è aperta con un classico della drammaturgia contemporanea, 4:48 Psychosis, ultima opera di Sarah Kane e uno dei suoi testi di maggiore impatto. Opera drammaticamente autobiografica, in cui l’autrice riversa i malesseri della sua depressione negli ultimi mesi di vita, il monologo è scritto in una forma teatrale non convenzionale, in cui si alternano 24 scene senza indicazioni di luogo e di tempo, mimando così l’assenza di certezze di una mente lacerata. Nell’interpretazione di Arvigo, che in questa regia è stata coadiuvata da Valentina Cavani, l’opera non si configura però come l’ultima lettera di una suicida, l’estremo atto di follia prima che tutto finisca, ma viene declinato piuttosto come una preghiera, un ultimo inno alla vita, che canta il bisogno di essere amati e la fiducia nell’ascolto del prossimo. La scena diventa quindi sorprendentemente luminosa («Ricorda la luce e credi nella luce», recita proprio un aforisma di Sarah Kane) e agli spettatori viene offerta la possibilità di riscoprire il senso di compassione e umanità nei confronti di chi, apparentemente separato dal mondo, ne ha in realtà un’immagine più lucida e veritiera.
Il Dolore, lo spettacolo seguito a una settimana di distanza dal primo appuntamento, è un diario biografico di straziante intimità che la scrittrice Marguerite Duras scrisse a Parigi negli ultimi giorni di guerra nell’aprile del 1945 mentre attendeva notizie di suo marito Robert Antelme, deportato dai nazisti a Dachau. Recentemente trasformato in un film francese con la regia di Emmanuel Finkiel, l’opera è un monologo intenso e assoluto, capace di descrivere con uno stile inconfondibile l’ansia dell’attesa e la profondità del sentimento. Nella sua regia, a cui hanno collaborato anche Virginia Franchi e Tullia Salina Attinà, Elena Arvigo è riuscita a ricreare sapientemente l’atmosfera di quei mesi difficili, attraverso la selezione meticolosa di arredi, vestiti e musiche d’epoca. Ma soprattutto, con la sua recitazione intensa e accorata, l’artista ha saputo restituire alla perfezione le angosce e i turbamenti della protagonista, ricercando anche un legame con il pubblico che ha fatto di questo spettacolo un’esperienza teatrale di insolita profondità.
Ha chiuso la rassegna teatrale, Una ragazza lasciata a metà, adattamento tratto dal romanzo della scrittrice irlandese Eimear McBride, caso letterario del 2013, vincitore di numerosissimi premi e tradotto per la prima volta in italiano da Riccardo Duranti. Prodotto – come gli altri monologhi presentati – da SantaRita & Jack Teatro e Teatro Out Off, la rilettura di Arvigo presenta le scene culminanti del testo, seguendo il percorso di formazione di questa ragazza dall’adolescenza difficile. Il bullismo nei confronti del fratello, la rigida educazione cattolica impartita dalla madre, lo stupro subito a 14 anni, il rapporto complesso con la sessualità che ne deriva: il monologo è un flusso di coscienza potente, una ininterrotta insurrezione contro un’esistenza crudele e troppo spesso decisa dagli altri. Nella sua interpretazione, Elena Arvigo ha gestito egregiamente la sintassi anticonvenzionale del testo, riuscendo a renderla intellegibile al pubblico senza però semplificarla nel suo tortuoso divagare che registra quello dell’emozione. Merito dell’artista è stato anche quello di aprire la struttura del monologo alla polifonia delle molte voci del romanzo, senza cedere a improbabili contraffazioni mimetiche ma sfruttando piuttosto accorte modulazioni del timbro.
Nell’affrontare la Trilogia Arvigo l’artista è apparsa versatile e matura, in grado di restituire con la stessa convinzione ruoli tanto diversi tra loro, dalla donna abbandonata, alla moglie lontana, fino all’adolescente ferita. Al pubblico sono stati offerti tre spettacoli di qualità, dimostrando come la forma del monologo solista, se maneggiata da attori di vaglia come Arvigo, riesce a riportare il teatro al suo senso più pieno: la creazione di un universo di emozioni attraverso il solo uso delle parole.
Ph. Pino Le Pera