Lidia Lombardi
Itinerari per un giorno di festa

Piranesi visionario tra cielo e terra

In Santa Maria del Priorato, la chiesa della sede extraterritoriale del Sovrano Ordine di Malta a Roma, “piccola e stupenda”, si realizzò il “sogno” architettonico del grande veneziano che tante vedute della Cittò eterna fissò nelle sue incisioni durante il secolo dei Lumi. Appena restaurata, è ora visitabile

Non fate più la fila, nell’ultimo slargo dell’Aventino – la piazza dei Cavalieri di Malta – per sbirciare dal buco della serratura di un severo portone la Cupola di San Pietro, teofania che incanta i turisti 365 giorni l’anno, 24 ore su 24. Entrate invece in quello spicchio di bellezza, la sede extraterritoriale del Sovrano Ordine di Malta che include la Villa, il giardino all’italiana con la vista sul Tevere e sul Cupolone e quell’unicum appena restaurato che è la Chiesa di Santa Maria del Priorato. Potete farlo il venerdì mattina, prenotando una visita (soltanto guidata e solo per gruppi) sul sito visitorscentre@orderofmalta.int.Un mondo a parte, impreziosito dal candido tempio intitolato alla Vergine, l’unica opera architettonica di Giovanni Battista Piranesi, il veneziano fantasioso e razionale che tante vedute di Roma fissò nelle sue incisioni durante il secolo dei Lumi. La piccola chiesa – una sorta di sacello che ospita le tombe dei Gran Priori e dei Gran Maestri dell’Ordine insieme con l’urna contenente le ceneri appunto del Piranesi, divenuto membro del glorioso “club” benefico con il titolo di Cavaliere dello Speron d’oro, lo stesso ottenuto da Mozart e che gli fruttò l’appellativo di Mozart delle Rovine – è uscita come appena terminata nel 1766 dal cantiere di restauro finanziato dall’Ordine, oltre che dalla Fondazione Roma del mecenate Emmanuele Emanuele. Si legge così perfettamente la profusione di decori e simboli che Piranesi modellò nello stucco. E si recupera l’intellettuale contrasto tra il bianco che trionfa ovunque e l’ocra che incornicia nicchie e angoli. Insieme a un terzo “colore”, l’ombra, che l’architetto fece derivare – sorta di invito alla meditazione – dai rilievi in stucco disseminati come trina. Sicché tutta la costruzione è una sorta di esperimento: conferire tridimensionalità alla sua arte di incisore.

In un miscuglio di sacro e profano, di cristianesimo e paganesimo, di ordine ed eccentricità, di simmetria e varietà. Ecco allora nel rarefatto interno i dodici medaglioni con la raffigurazione degli apostoli, ecco il bassorilievo con la Vergine (Sancta Maria de Aventinae fu eretta nel 936 dal monaco benedettino Oddone di Cluny nel luogo dove venne rinvenuta un’icona della Madonna); ecco in sequenza al centro del soffitto il “bricolage” tipicamente piranesiano che affianca San Giovanni Battista recante l’Agnus Dei, una croce greca sorretta da putti entro una cornice triangolare simbolo della Trinità ma anche segno massonico, la tunica indossata dai Cavalieri di Malta, la tiara papale e le chiavi incrociate. Ma ecco anche rimandi al mondo etrusco e all’Egitto, con le piccole sfingi che affiancano torri al culmine delle quattro lesene della facciata esterna; ecco i serpenti (il colle Aventino era chiamato Mons Serpentarius), e le palme e gli allori e i trofei romani e le aquile bicipiti, gli scudi, la nave a vela, i labari: accenni alla antica Roma e insieme alle vittorie per mare dei Cavalieri di Malta sui musulmani. Così riaffiora tutta la storia di questo luogo e del tempio, uno dei più ammirati della cristianità. Alberico II nel X secolo donò il terreno dove sorgono Villa e Chiesa a Odone di Cluny, che fondò qui un monastero fortificato (resistono i merli della muratura perimetrale, presidio che osserva dall’alto il biondo fiume). Il complesso passò poi all’Ordine dei Templari, i monaci combattenti a difesa di Gerusalemme e dei pellegrini là diretti. Ma, al loro scioglimento nel 1312, subentrò l’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme detti Ospedalieri – l’attuale Ordine di Malta – che nel 1566 stabilì il Priorato a Roma: e se nel giardino una scritta rammenta i Templari, nella Villa il Gran Maestro riceve capi di Stato, di Governo, Ambasciatori accreditati presso il Sovrano Ordine, mentre la chiesa resta luogo di culto ed è illuminata fastosamente nella notte del 24 giugno, il giorno dedicato al patrono San Giovanni Battista.

Fu un altro Giovanni Battista, il veneziano cardinal Rezzonico, Gran Priore dell’Ordine e nipote di papa Clemente XIII, a commissionare al Piranesi il rinnovamento della chiesa, della villa magistrale, dei giardini e della piazza antistante, enigmatica e affascinante nei piccoli obelischi. L’artista – «dal 1740 vive a Roma, ha formazione di vedutista canalettiano ma preferisce l’incisione alla pittura, è architetto ma costruisce una sola chiesa piccola e stupenda» scrisse Giulio Carlo Argan – concentra appunto in Santa Maria del Priorato l’estro visionario usando il linguaggio del barocco e del neoclassico («come il Palladio per le sue ville, poste tra acqua e cielo, egli pose la chiesa tra terra e cielo, sganciata dunque dalla Storia, in una atemporalità che è per questo quintessenza della modernità» ha osservato alla presentazione del restauro Francesco Moschini, architetto ai vertici dell’Accademia di San Luca). La contaminazione ideologica e di stili non piacque a molti dei contemporanei del Piranesi: un’opera prodotta dalla «testa di un matto, che non à nessun fondamento», si disse criticando le immagini ricorrenti all’interno e sulla facciata, i serpenti, i crani (simbolo di vanità, morte, vanagloria), le torce a testa in giù (anch’esse segno di morte nella cultura antica, così come per gli adepti del culto di Mitra). A tutto ciò pare pensare il Piranesi raffigurato in statua da Giuseppe Angelini sulla propria urna funeraria: ha la toga di antico romano, poggia il mento su una mano, reca sotto il braccio un cartiglio con la pianta del tempio di Poseidon a Paestum: perché fu durante il viaggio di ritorno dal mitico luogo che egli morì dopo aver contratto la malaria.

Nell’altare esplode invece il mistico trionfo di San Basilio, vescovo greco, innalzato in cielo da Serafini e Cherubini. Un’apoteosi del bianco sullo sfondo del piccolo abside contornato da pigne e fiori. Con l’unica nota di colore delle bandiere che assemblano le otto lingue dei Cavalieri quattrocenteschi: Provenza, Alvernia, Francia, Italia, Aragona, Inghilterra, Alemagna, Castiglia e Leon. Il “sogno” architettonico di Piranesi impegnò per due anni le maestranze venete. «Il restauro, consistito in pulitura con tamponi d’acqua distillata e gomma pane e in rinforzi con consolidanti iniettati da microbisturi, ha evidenziato la cura maniacale degli ornamenti, anche quelli non in vista come ghiande grandi in centimetro», riferisce Giorgio Ferreri, direttore progettuale dei lavori, durati dal 2017 a poche settimane fa. E, in una costruzione sostanzialmente mai restaurata, ha dato l’emozione di ritrovare le pennellate del Piranesi, quell’ocra romano scelto per il connubio con un metafisico bianco.

 

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