Mario Di Calo
Visto al Teatro Quirino di Roma

Brancati e la Diva

Torna "La governante" di Brancati, apologo acido su una società che non accetta l'omosessualità. Nel ruolo della protagonista, brilla Ornella Muti, diva consumata prestata al teatro

Impreziosita dalla presenza in scena di Ornella Muti, è tornata in scena (ha appena finito le sue repliche al Quirino di Roma e poi andrà in tournée) La Governante di Vitaliano Brancati. Il celebre copione – scritto nel 1952 ma solo nel 1965 approdata alle scene grazie all’interessamento, alla cura, all’amore e all’interpretazione di Anna Proclemer – fu bloccato per quasi vent’anni dalla censura, per i temi troppo espliciti che fanno riferimento a un amore saffico fra Caterina Leher governante e Jana cameriera, donne di casa Platania. Nell’edizione curata per Bompiani e pubblicata nel 1984, la commedia è preceduta per l’appunto da un piccolo sfogo dell’autore dal titolo Ritorno alla censura, scritto subito dopo, come a scagionare l’opera dall’ingiusta sentenza. La condanna, difatti, si soffermò sull’argomento più evidente del racconto nella commedia, e cioè l’affetto speciale che lega la protagonista del titolo a una cameriera, ma quello che più interessa Brancati è la calunnia alla base dell’antefatto, oggi si direbbe quasi un incidente, il fatto che le due donne fossero legate da fugace passione. Una calunnia dettata solamente da un’inconsapevolezza di una natura negata, ferita, irriconosciuta rispetto a una società che ancora mostra sordide attenzioni verso tematiche scomode benché attualissime.

La storia trova la sua ambientazione a Roma, in un luminoso e benestante appartamento capitolino – molto bella, qui, la scena di Salvo Manciagli, tagliata ortogonalmente, come fosse attraversata da uno di quei bellissimi raggi di sole che colpiscono alcune zone della capitale, e che taglia in due il percepibile dall’invisibile – e racconta della famigliola Platania, proveniente da quel di Caltanissetta, capeggiata da un padre/padrone, Leopoldo, il cui patriarcato si respira in ogni azione/pensiero che l’uomo elabora, a cominciare da quel residuo di folklore che è rappresentato da Jana, catapultata dal suo paesino d’origine ad una casa borghese romana, camerierina amorevole, compiacente a cui tutti son legati. Capita che la giovane coppia di casa, figlio e nuora di Leopoldo, abbia un figlio e il giovane Enrico, (un aitante quanto imperscrutabile Rosario Marco Amato) affetto dal solito male di Sicilia, i fimmini, retaggio del celebre Bell’Antonio, avendo piccoli pargoli da crescere, si rivolga all’aiuto di una Governante d’oltralpe di origine francese, con eccellenti noti caratteriali, calvinista, colta e bella. È con questi presupposti che nasce la complessa storia di Vitaliano Brancati. Poiché “il ladro non vede che furti”, la governante Caterina in un transfert psicologico sposterà sulla giovane e inconsapevole Jana i suoi desideri e le sue pulsioni, non riconosciute né accettate, e dapprima con un sospetto oscuro a se stessa, e poi sempre più autoconvincendosene metterà alle strette la famigliola sicula, che non potrà far altro che allontanare la povera malcapitata.

Caterina mette una sorta d’intercapedine, di gelida distanza, fra la sua natura e le sue più che naturali pulsioni: e nel trasferirle su di un oggetto indifeso come poteva essere Jana, il suo amore per qualcosa che non può essere nominato trova la ragione d’esistere, ed ecco che la problematica si allontana da sé, ma allontanandosi può essere così riconosciuta, regolamentata.

L’arrivo di Francesca in casa, una nuova cameriera, più spregiudicata e libera fa in modo che Caterina possa venire allo scoperto. A Leopoldo non resta che far pulizia fra i suoi fantasmi, e quella figlia, Agatina, morta suicida per un suo attacco di gelosia, ritorna in vita per un attimo nella confessione accorata di Caterina ai piedi del padrone di casa. Ora i conti possono tornare pari, ma il senso di colpa, una società non ancora pronta ad accettare un’omosessualità, addirittura femminile, dissolve tragicamente questo doloroso spaccato di un’epoca remota, ma che ci riporta a una drammatica attualità – ancora – bloccata a discutere diritti universalmente riconosciuti in tutto il resto del mondo e in Italia ancora no.

Giustamente, Enrico Guarneri, ottimo Leopoldo, asciutto e misurato, eppur canagliescamente divertente, e il regista Guglielmo Ferro (suo padre Turi fu uno straordinario Leopoldo con la regia di Luigi Squarzina nel 1984) affidano la parte della governante Caterina ad Ornella Muti, non nuova a verifiche teatrali, commercialmente fortunatissime: l’attrice di grande fascino e carisma dona al personaggio una consapevolezza ed una maturità che i 25 anni richiesti dall’autore forse non avrebbero restituito totalmente. Lo spettacolo, dunque, punta proprio sulla presenza di Ornella Muti, sempre compunta e trattenuta, pudica in un abito claustrale (costumi di Dora Argento): porta una grazia in scena che dona al personaggio una femminilità negata, una sensualità castigata, composta, cancellata da una sofferenza tutta contrita. In scena con i protagonisti: Rosario Minardi,  Nadia De Luca, Caterina Milicchio, Turi Giordano e Naike Rivelli. Lo spettacolo è prodotto da Teatro ABC Catania/ Teatro Arte e Produzione Corte Arcana/Isola Trovata.

Facebooktwitterlinkedin