Cartolina americana
L’ultimo Muro
Duello ravvicinato tra il presidente Trump e il leader democratico Beto O’Rourke su Muro. Le due concezioni non potrebbero essere più lontane: per uno l'integrazione è criminale in sé, per l'altro è un volano di pace
Giorni delicati, questi, per la politica internazionale degli Stati Uniti: i rapporti con l’Iran non promettono niente di buono e quelli commerciali con la Cina ancora meno. L’incertezza e la pericolosità di equilibri che vanno a frantumarsi creando dei vuoti spaventosi e distaccando il paese sempre di più dal resto del mondo non frenano Trump dal praticare una politica ancora più isolazionista nei confronti di un vicino alleato. Così lunedì scorso il presidente è andato in Texas a parlare della costruzione del muro. Un muro, due filosofie politiche. Il muro è quello con il Messico, le due visioni del mondo quella di Donald Trump e quella di Beto O’Rourke (nella foto sopra) uno dei più popolari candidati democratici alle prossime elezioni presidenziali del 2020.
Nello stesso giorno si sono ritrovati ambedue quasi contemporaneamente a El Paso città del Texas al confine messicano per parlare proprio della funzione di quel muro. Lo stesso che ha determinato il più lungo shutdown del governo americano in un interminabile braccio di ferro tra Il presidente Trump e il partito democratico proprio a proposito della costruzione di una barriera con il Messico per bloccare il processo di osmosi migratoria tra quest’ultimo e gli Stati Uniti.
Prima di entrare nel merito delle differenze di funzione del muro secondo i due politici va ricordato che cosa ha significato nel corso degli ultimi anni parlare della costruzione di The Wall. A prescindere dall’ovvio e quasi meccanico rimando al famoso album del 1979 dei Pink Floyd dall’omonimo titolo che già allora evocava separazione e isolamento – in quel caso specifico di una rock star dal suo pubblico – questo muro è stato oggetto di accese discussioni politiche da ormai più di dieci anni. E non solo tra i repubblicani. Nel 2006 infatti fu varato il Secure Fence Act una legge bipartisan che si impegnava a costruire barriere fisiche per 700 miglia dei 2000 che separano il Messico dagli Stati Uniti. Fu approvato tra gli altri anche dall’attuale leader della minoranza democratica in Senato Chuck Schumer, da Hillary Clinton, da Joe Biden e perfino da Barack Obama che disse «che avrebbe sicuramente portato dei benefici e aiutato ad arginare la marea di immigrazione clandestina nel paese». Maggioranze bipartisan poi avevano votato misure restrittive nel 2013 e anche l’anno scorso. Dopo il fallimento di George W. Bush nel varare una riforma comprensiva delle leggi sull’immigrazione nel 2007, nel 2015 il candidato Trump aveva infiammato gli animi parlando degli immigrati dal Messico come di una grave minaccia per il paese.
Da allora, a tutte le sue manifestazioni l’espressione «Build the wall» è divenuta un mantra del suo programma elettorale e un dispositivo che faceva leva su un sentimento popolare molto sentito. Al punto che lo scorso dicembre l’editorialista Ann Coulter, che ha scritto un libro che già da solo è tutto un programma In Trump We Trust, assieme ad altri repubblicani molto conservatori, lo aveva attaccato chiamandolo smidollato perché sembrava non tenere fede al proposito di costruire il muro. Così il presidente, che sembrava quasi propenso ad un accordo bipartisan, si era immediatamente ritirato e aveva fatto invece nuove richieste pecuniarie in direzione della sua costruzione. Ma i democratici (adesso maggioranza nella nuova House) capeggiati da Nancy Pelosi, non solo non hanno acconsentito allo stanziamento di un budget per la creazione del muro, ma hanno proposto altre misure deterrenti utili nel controllo dei confini tra i due paesi come i droni, i sensori e l’assunzione di nuovo personale di frontiera. Trump, forse rendendosi conto che l’indice del suo gradimento stava scemando (1 americano su 5 considerava negativo il suo operato rispetto allo shutdown governativo, di cui almeno all’inizio era pronto a prendersi la responsabilità, e questo scetticismo andava a intaccare anche una parte del suo elettorato) aveva ammorbidito le sue richieste, salvo poi convincersi che sarebbe stato accusato di venire meno alle sue promesse elettorali. Così El Paso, città che da sempre per le sue caratteristiche di frontiera ha un tessuto ibrido e contaminato – ma ben integrato, come ben ha mostrato la serie The Bridge che nella sua versione americana è parlata per metà in inglese e per l’altra metà in spagnolo – ha evidenziato le differenze di strategia politica tra il presidente repubblicano e uno dei candidati democratici più amati.
Trump in un discorso di un’ora e 18 minuti ha ribadito con forza la necessità del muro affermando che grazie ad esso il crimine è diminuito. «With the wall up it’s a different ball game» ha detto Trump paragonando la sicurezza di una città come El Paso alla pericolosità di Ciudad Juarez in Messico ed enfatizzando il fatto che il muro salva delle vite, «the wall saves lives», ha infiammato il suo pubblico con affermazioni del tipo «open borders are dangerous and immoral» perché permettono l’entrata di immigrati illegali che compiono crimini efferati come il traffico di esseri umani, violenze sulle donne e lo spaccio di droga. Ha inoltre riaffermato che il muro si costruirà comunque, (lo slogan “finish the wall” campeggiava tra i suoi sostenitori), accusando i democratici di volere il socialismo, di essere a favore dell’aborto e soprattutto di voler rilasciare migliaia di immigrati illegali portatori dei crimini di cui sopra. Ha inoltre attaccato il suo competitor Beto O’Rourke dicendo che è un perdente, che è stato sconfitto da Ted Cruz, che contro i suoi 69.000 fan è grassa se ne avrà 300, e infine che di accattivante ha solo il nome. Insomma, portando il livello dello scontro veramente molto in basso.
D’altra parte, Beto O’ Rourke ha controbattuto ogni singola affermazione di Trump a cominciare da quello “Stop the wall” perché i muri che non ci rendono affatto più sicuri, anzi uccidono, “the wall ends lives” come è accaduto ai 4000 bambini che negli ultimi 10 anni cercando di attraversare il confine per sopravvivere, sono morti. Ha inoltre, parlando anche in spagnolo, magnificato la città di El Paso, che conosce bene essendo proprio di lì, come un esempio di sicurezza e di capacità di inclusione non per il muro, ma a dispetto del muro. E ha parlato del ruolo della comunità cittadina che è stata essenziale per costruire un’integrazione ben riuscita. Ha affermato che le statistiche gli danno ragione in quanto la sicurezza della città risale a prima della costruzione del muro nel 2008 ed è dovuta alla sua capacità di accogliere e di far funzionare le diversità delle minoranze etniche. Ha inoltre ribadito l’importanza dei processi migratori per un paese come gli Stati Uniti e il fatto che la maggioranza degli immigrati è in cerca di lavoro e di una vita dignitosa lontano dalla miseria e non è composta da efferati criminali, come afferma Trump. A cominciare da quei dreamer a cui dovrebbe essere data la cittadinanza americana e a quei figli che sono stati separati dai genitori e messi nelle gabbie. Sulla sicurezza giornaliera della città è intervenuto anche Jack Tapper, uno dei nomi più famosi tra i giornalisti della CNN che ha contraddetto il presidente smascherando le sue falsità.