Serate all’Amiata Piano Festival
Rossini mistico e il profumo del valzer
Al Forum Bertarelli, tra colli e vigneti della maremma grossetana, due “speciali” confermano la coerenza qualitativa tra scelte estetiche e musicali: per l’occasione affidate alla “Petite Messe Solennelle” del maestro pesarese, a Schubert, Ravel e Ernö Dohnányi
Un nuovo auditorium, immerso tra colli e vigneti della maremma grossetana, sulle pendici del Monte Amiata. È il Forum Bertarelli, finanziato e costruito dalla Fondazione Bertarelli, su progetto dello studio Edoardo Milesi & Archos. Inaugurato da qualche anno, ha già ricevuto diversi premi e riconoscimenti internazionali, nel campo della bioarchitettura: per il progetto innovativo, l’integrazione e il riguardo verso l’ambiente naturale, il controllo dei consumi energetici, l’impiego di tecniche e materiali non inquinanti, la sostenibilità gestionale e sociale. E, insieme alla coerenza ecologica e al fascino estetico, mirabile è la resa acustica, appositamente studiata. Non a caso, l’impianto è stato concepito come sede dell’Amiata Piano Festival (www.amiatapianofestival.it), manifestazione musicale animata da Maurizio Baglini e Silvia Chiesa, e che, per l’alta qualità delle produzioni e degli artisti che ospita, si è ormai affermata in ambito nazionale.
Il Forum Bertarelli sorge su una collina che, per contenere la sala e i servizi connessi, è stata accortamente scavata sul cocuzzolo, in modo da lasciar emergere dal suolo soltanto la sommità del manufatto, una larga torta alta qualche metro. E già la crescita dell’oliveto, messo a dimora tutt’intorno, lo sta ormai immergendo e nascondendo in tutta naturalezza nel paesaggio. Il suolo rientra nei tenimenti dell’azienda agricola Colle Massari, della famiglia Bertarelli-Tipa. Va sottolineato che il fondo era stato in precedenza destinato all’edificazione di alcune unità abitative, per le quali la proprietà aveva anche già versato gli oneri concessorî agli enti locali. Ma poi, vista la crescita costante dell’Amiata Piano Festival, la Fondazione Bertarelli, che lo sostiene e ne è il mecenate esclusivo, ha deciso un cambio radicale, in favore di un progetto artistico.
A suggellare l’annata appena trascorsa, l’Amiata Piano Festival ha offerto due speciali serate, di profilo opposto. Nella prima, la Petite Messe Solennelle di Gioachino Rossini, nell’originale versione cameristica; nella seconda, il valzer tra Vienna, Parigi e Budapest. A celebrazione del 150esimo dalla morte di Rossini, la Petite Messe è stata affidata alla responsabilità di Michele Campanella, uno dei massimi pianisti italiani, che su questo titolo ha approfondito una speciale esperienza interpretativa. La Petite Messe Solennelle, composta nel 1863, è tra i lasciti estremi di Rossini, che da decenni si era negato alla creazione di nuovi melodrammi, non condividendo la nuova estetica romantica ormai trionfante. Infatti la Petite Messe riflette limpidamente la poetica del compositore pesarese, e la sua incoercibile adesione al precedente gusto neoclassico. La scrittura è essenziale, asciutta, quasi astratta nella sobria severità dell’impianto formale ed espressivo, nell’architettura disadorna e nella naturalezza di colori e accenti.
Di quest’atmosfera rarefatta Michele Campanella, primo pianoforte e concertatore, è stato interprete sensibilissimo, su un percorso esecutivo sempre attento a contenere i volumi, a illuminare il fraseggio, a porre in evidenza l’animus rossiniano. Un animus mistico, ma laico, riservato, impalpabile. Ne è quindi emersa una lettura approfondita verso un raccoglimento incorporeo, esemplare nella resa impeccabile dell’afflato e dei colori di una partitura che rimane monumentale, nell’apparente semplicità. Una lettura che ha saputo squadernare un ordito di impressionante modernità, agli occhi di noi posteri. Oltre alla raffinata concertazione, superfluo sottolineare il dominio della parte pianistica da parte di Campanella, anche nel Preludio religioso. Accanto a lui, si sono egregiamente disimpegnate Monica Leone, pianoforte di rinforzo, ed Enrica Ruggiero all’harmonium. Lodevoli le prove dei cantanti: Linda Campanella, soprano, Francesco Marsiglia, tenore, Matteo d’Apolito, baritono, e soprattutto Adriana Di Paola, mezzosoprano che si è distinto nell’Agnus Dei conclusivo. Insieme ai solisti, ha ben figurato l’Ensemble Vocale di Napoli.
La serata successiva ha degnamente concluso l’Amiata Piano Festival, con un elegante excursus tra pagine di tre compositori che, nelle rispettive capitali, hanno respirato anche il profumo del valzer. Valzer che occhieggia nel secondo movimento della Sonata per violoncello e pianoforte “Arpeggione”, del viennese Schubert. Di questa pagina sublime, non ricordiamo un’altra resa altrettanto esemplare ed elegante, come quella offertaci da Silvia Chiesa, violoncello, e Maurizio Baglini, pianoforte. Impressionante la finezza del loro fraseggio, il dosaggio dei dialoghi, la pastellatura dei colori: un’esecuzione memorabile. Lo stesso Baglini ha poi attraversato, da par suo, le sinuose volute de La Valse di Ravel, nella difficile versione solistica. E infine una musica rara, per un organico non usuale. Sei interpreti – Jean-Luc Votano, clarinetto, Denis Simàndy, corno, Gauthier Dooghe, violino, Ralph Szigeti, viola, insieme a Chiesa e Baglini (nella foto) – hanno eseguito il Sestetto in Do maggiore op. 37 di Ernö Dohnányi. Un itinerario prismatico e divertente fra lirismo, teatralità, virtuosismo, vivacità ritmica, nel quale l’autore ungherese sottolinea il volto multietnico di Budapest, crocevia dei più eterogenei incontri culturali all’epoca dell’impero asburgico.