“Dalle fondamenta” di Paolo Lisi
I crediti della poesia
Un flusso di immagini e di visioni, un linguaggio lineare e diretto. La nuova raccolta del poeta siciliano si caratterizza per una sapiente leggerezza, capace di confrontarsi con la realtà. Nella consapevolezza che l’arte poetica non deve avere pretese pur essendo destinata al riconoscimento
Paolo Lisi, poeta siciliano, di Catania, cinquantenne, medico e organizzatore di eventi culturali (“Isolapoesia”, “L’Isola delle Scritture”, “L’autore per cena” presso il catanese Sheraton, hotel assai sensibile alla cultura), giunge con Dalle fondamenta, al sesto libro di versi, raccolta affidata alle buone cure de Le farfalle, la raffinata casa editrice siciliana diretta dal poeta Angelo Scandurra. Come sua abitudine, Lisi ha “costruito” un libro esile, 58 pagine, con poesie brevi, brevissime. In un linguaggio lineare e diretto, delicato e lieve. Pensiamo che questo possa essere un valore, perché come diceva una poetessa russa non sempre è conveniente che «la lira faccia rima con la ira». E il flusso non caotico e senza toni eccessivi, ci porta a situare la raccolta su un piano di “leggerezza”, seppure mai ciò significhi una via di fuga dalla realtà e dall’intrico esistenziale, dove anzi Lisi si inoltra, con un dire non mediato da artifizi linguistici, bensì diretto, quindi decisamente proteso alla più severa e intransigente verità.
Pare agevole individuare di questo libro le coordinate: siamo innanzitutto nel reticolo di una poesia d’amore, ma c’è di più perché questi versi portano in sé molteplici altri versanti. Ma innanzitutto c’è da sottolineare come la raccolta sia caratterizzata da tanti lampi, brevi e luminosi allo stesso tempo («Un volo di polene/ taglia il velo d’acqua/ il blu profondo»). Ma partiamo dall’esergo, eccellente e inquietante allo stesso tempo (pur forse insinuato da un tono finanche ironico) e un po’ anche disegno programmatico: «Perdonate questo padre/ perché siete l’unica meraviglia/ che porti il mio nome». Versi con questo passo si ritrovano qua e là nel libro, che danno indicazioni su una poesia dal filo fragile e interrogativo. Tra presunte colpe e insinuanti domande che incrociano il destino di tanti sguardi, tra dolcezze e sensualità lievemente accennate («Quella bocca di fiume/ addosso alla mia»; «Lei posa le labbra/ sull’omero./ Le mani bianche/ il trucco leggero./ La parola/ come un vento/ le cinge la vita/ le scioglie i capelli/ le sorride le guance»).
Lisi si addentra in spazi che non pretendono chiarezza, bensì si aprono a un dialogico istante di vita. Diversi tratti si diceva, nel prevalere dello slancio amoroso, ne indichiamo alcuni: sulla funzione di genitore, sull’angoscia per un amore incompiuto o da proteggere o seguire con delicatezza e forza («L’amore è sempre un passo più in là/ vicinissimo e distante»), dall’esercizio di sguardo verso il senso del vivere, all’accogliente incontro con l’Altro, all’attenzione verso il groviglio dei tanti cuori sospesi nel nulla. Senza una disperazione invadente, ma solo con l’incanto dello sguardo verso il mondo, o verso i figli, o verso l’amore coniugale. Nell’idea che la poesia non possa fare barricate o scoprire la legge che bilancia l’universo, e neppure che risolva gli incastri dell’impossibile o i complicati interstizi della vita («La poesia si posa/ inattesa/ sulle spalle/ di chi ha scelto./ Non pretende nulla»). Ma sapendo pure che l’arte poetica racchiude il suo credito con fiducia («un giorno/ riscuoterà/ il suo credito») e rappresenta un conforto e un segno di speranza e comunque «questa vita/…/ Dobbiamo custodirla/ poeticamente».
Il libro di Lisi è un flusso di immagini, di visioni. Ma pure ha in sé il senso della vita che va, senza avvisare a ogni stazione del viaggio, ed ecco i figli che diventano grandi, e seguono le loro strade distanti dal baricentro del mondo, e l’amore che invoca sempre la sua parte, e le pratiche fisiche che richiedono spazi adeguati, già che gli anni si affollano alla porta. E poi i ricordi che invadono la mente ai bordi della vita («Rileggere/ con occhi stanchi/ – ognuno per sé -/ quegli anni randagi/ dal sapore/ di cannella e fumo»). Poco ai bordi del mare, non invocato, curiosamente un po’ estraneo a questo poeta attorniato da un paesaggio di mare («In questo mare/ così lontano dalla mia isola»).
Sì è la vita, e anche la morte forse, poco nominata ma proprio per questo sicuramente presente sotto traccia. È la Sicilia fascinosa e terribile («Nel silenzio di questa città/ nera come la mano di Dio»). È la vita quotidiana tra speranze e dolori, specie dalla corsia di un ospedale, dove c’è il degente che guarda, sospeso al suo vuoto proprio nell’istante in cui il medico gli sta di fronte («L’uomo senza tempo/ sul letto d’ospedale/ mi fissa muto»), nella naturale via che giunge al suo termine e di cui questo medico-poeta sicuramente ne registra il tempo e le sofferenze. Che sono anche sue e che gli fanno dire: «Cristo che trascini la croce/ lungo il Golgota/ ti cerco nella paura della morte».