Luca Zipoli
Dalla Carnegie Hall di New York /2

Un’orchestra su tastiera

Noto in tutto il mondo sia come interprete sia come compositore, il pianista canadese Marc-André Hamelin ha fatto il suo atteso ritorno sul rinomato palco newyorkese. Agli spettatori è stato offerto un programma ricco e insolito, che ai grandi classici della tradizione pianistica ha affiancato brani meno noti e sperimentali

Alla Carnegie Hall tradizione fa da sempre rima con innovazione. Anche forme di concerto ormai collaudate e classiche, come un recital pianistico o un’esecuzione orchestrale, in questa sala lasciano sempre spazio a sperimentazioni interessanti che le rendono esperienze musicali diverse e peculiari. Nei programmi di sala, accanto ai nomi dei giganti della musica da camera o sinfonica, come Beethoven, Schumann o Chopin, compaiono spesso autori o brani meno noti al grande pubblico, appartenenti all’epoca novecentesca o contemporanea. E così, il più delle volte, le serate sulla settima strada appaiono diverse dalle antologie musicali tradizionali e la sfida lanciata allo spettatore è quella di trovare di volta in volta una chiave comune che possa legare compositori e creazioni spesso anche molto distanti fra loro.

Il programma che il pianista canadese Marc-André Hamelin ha scelto per il suo ritorno in città è nato da questo stesso spirito. Ai cavalli di battaglia del repertorio pianistico, come la Fantasia n. 17 di Schumann, la Polacca-fantasia o gli Scherzi di Chopin, ha affiancato scelte meno ricorrenti e più sofisticate. Tra queste, la Ciaccona per violino di Bach secondo la trascrizione per tastiera di Ferruccio Busoni, a lungo trascurata in confronto ad analoghe trasposizioni di Mendelssohn e Brahms. Si distingueva, inoltre, il brano Cipressi, un’elegia in musica del compositore ebreo Mario Castelnuovo-Tedesco – a onor del vero più conosciuto per la sua travagliata biografia di esule dalle leggi razziali che ascoltato nelle sale da concerto. Ma ad attirare maggiormente la curiosità del pubblico sono stati quei Sei arrangiamenti da canzoni popolari francesi che apparvero anonimi alla radio nel 1956 e che solo recentemente, grazie agli studi dello stesso Hamelin, sono stati attribuiti al pianista e compositore Alex Weissenberg. Oltre a prestare nuova attenzione a questo piccolo tesoro del dopoguerra musicale francese, al pianista canadese va il merito di aver trascritto su partitura le registrazioni radiofoniche rimaste a lungo misteriose e di averle incise su disco, rendendole accessibili al pubblico per la prima volta dopo mezzo secolo.

Nel padroneggiare un programma così complesso e differenziato, Hamelin si è distinto per versatilità e precisione tecnica. Il pianista è apparso appassionato nella Fantasia di Schumann, brillante nei brani chopiniani, vivace nelle canzoni francesi, e ha stupito la platea con una gamma di tecniche e di intenzioni espressive ricche e convincenti. Particolarmente riuscita la sua interpretazione dei Cipressi, che ha saputo dare pieno risalto alle sfumature non solo idilliache ma anche malinconiche e a tratti inquietanti del brano. Una considerazione a parte merita la scelta di confezionare un programma così differenziato e senza ordine cronologico. L’accostamento di musiche tanto distanti tra loro non deve, infatti, essere considerata una semplice esigenza di diversificazione sonora, perché a un ascolto più approfondito i pezzi apparivano inseriti in un preciso percorso di approfondimento. Il fil rouge che lega Schumann a Busoni, Castelnuovo-Tedesco a Chopin è la loro sperimentazione di un pianismo diverso, il comune tentativo di superare la natura solistica dello strumento per giungere a una complessità di voci e sonorità più simili a quelle di un’orchestra. Clara Wieck, moglie di Robert Schumann, descriveva il secondo movimento della Fantasia a lei dedicata proprio come il suono di «un’intera orchestra»; gli arrangiamenti di Weissenberg delle canzoni francesi risentono fortemente della natura polistrumentale dei brani originari; i Cipressi furono in un secondo momento trascritti per orchestra dal suo stesso autore, nello sforzo di amplificare la complessa polifonia del brano; infine, Busoni scriveva curiosamente in un punto del suo arrangiamento per pianoforte di Bach che il pianista deve imitare il suono di un trombone. Pur scrivendo per dieci dita, questi cinque compositori avevano in mente un’orchestra e tentavano di riprodurre con un solo strumento l’intreccio dei diversi strumenti dell’organico classico.

Quello che Hamelin ha proposto con il suo programma è stato dunque un viaggio attraverso le varie modalità con cui, attraverso i secoli, diversi compositori hanno tentato di spingere le possibilità espressive del pianoforte verso quelle sinfoniche. Una sperimentazione costante, che ha portato gli artisti a confrontarsi con possibilità e limiti dello strumento e a elaborare soluzioni inedite e sonorità inconsuete, nel sogno di ricreare una vera e propria orchestra su tastiera.

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