A proposito de “La rivoluzione dei gelsomini”
Takoua nel deserto
Takoua Ben Mohamed, scrittrice e disegnatrice italiana e tunisina insieme in un bel graphic novel racconta le trasformazioni, spesso traumatiche, del suo paese d’origine
Takoua Ben Mohamed è una donna minuta, con la faccia seria incorniciata dal velo, e si definisce Tunisina de Roma. Ha 27 anni, vive nel nostro paese dall’età di 8, e quando è arrivata non conosceva nemmeno una parola di italiano. È rimasta muta per mesi, dice, e a scuola nei primi tempi riusciva a comunicare solo con i disegni, anche per chiedere di andare in bagno. La sua storia e quella della sua famiglia, inestricabilmente intrecciate con le vicende del suo paese d’origine, Takoua le ha raccontate in un graphic novel, La rivoluzione dei gelsomini, appena uscito per i tipi di Becco Giallo (novembre 2018, 248 pagine, colore, € 19,00), e presentato pochi giorni fa al Museo Madre di Napoli nell’ambito di un nuovo progetto didattico dedicato all’integrazione sociale dal bene augurante titolo “Io sono felice!”.
Durante l’incontro, Takoua ha parlato senza freni, tratteggiando le vicende politiche della Tunisia dall’indipendenza nel ’56 fino al presente, con dentro le persecuzioni e le prevaricazioni quotidiane, il carcere e le torture per i dissidenti e per chiunque esprimesse le proprie opinioni. Ma soprattutto ha descritto con amore e rispetto le figure del padre e della madre, ha raccontato aneddoti della sua infanzia a Douz, nel profondo sud del paese, il suo arrivo in Italia, proprio al porto di Napoli con la madre e i fratelli per ricongiungersi al padre, che non conosceva, rifugiato in Europa da anni e poi il percorso dell’integrazione, prima a Valmontone e poi nella capitale e a Firenze. Ha detto della sua scelta di prendere il velo a 12 anni, in disaccordo col padre, dopo che col mutato clima post 11 settembre si era sentita chiamare terrorista e talebana, e di essere ancora in attesa di ottenere la cittadinanza italiana, al pari del suo ultimo fratello, che è nato in Italia e si sente – lui sì – Romano de Roma. Ha raccontato di essere potuta tornare in Tunisia solo dopo il 2011 e di avere trovato al’’aeroporto di Tunisi Cartagine una folla di parenti di cui non si ricordava, ma che si ricordavano di lei e della sua famiglia e che si erano messi in marcia da ogni posto del paese per accoglierli.
Un racconto emozionante e punteggiato di risate, una storia individuale peraltro baciata dalla fortuna, che deve far riflettere su quali drammi, quali disagi e sofferenze vivano quelle persone costrette a lasciare la patria (possiamo rivalutare questo termine?) e a misurarsi in ogni momento della loro vita con una doppia identità, con un processo di ridefinizione. Takoua lo dichiara nella prima pagina del libro: “Ho cercato tra i libri di storia, tra gli archivi di famiglia. Nel cuore delle persone. Ho cercato nel mio presente e nel mio futuro. Ho cercato una risposta alla domanda che mi sono sempre posta: Chi sono, io?”.
L’emozione della testimonianza diretta è replicata ripetutamente nel libro, di cui colpisce in primo luogo il bellissimo e chiaro tratto grafico e i testi semplici e diretti. Dopo la dedica iniziale ai genitori e a tutti i deboli che lottano per i loro diritti, troviamo una breve ricostruzione delle vicende politiche della Tunisia, che fanno luce su un paese a cui troppo spesso pensiamo come un posto di villeggiatura esotico, economico e vicino. Poi la storia di Takoua dall’infanzia fino al presente, la sua ricerca di casa e d’identità mentre continua a dichiararsi una ragazza “fortunata perché nata in una famiglia che mi ha insegnato ad avere sete di conoscenza, a coltivare principi saldi, a non farmi calpestare dalle ingiustizie”. E infine il capitolo dedicato alla rivoluzione dei gelsomini (ma il termine esatto è dignità ) e a quello che ha messo in moto nella società tunisina. Tra i capitoli più avvincenti quello dedicato al ruolo delle donne, portatrici d’amore e di energia in seno alla famiglia e alla società e quello dedicato alla censura e a tutti i mezzi che i Tunisini riuscivano a mettere in atto per far circolare riviste, giornali e libri, mentre con l’arrivo del satellitare le emittenti straniere diventavano fonte di notizie sul proprio paese.
Restano vivide dopo la presentazione due cose: l’immagine del barile nascosto sotto la sabbia del deserto a Douz, dove la mamma di Takoua nascondeva fotografie, ricordi e documenti della famiglia per sottrarli alle perquisizioni e la voce di Takoua che ripete convinta l’informazione è la cosa più importante sulla faccia della terra!