Itinerari per un giorno di festa
Il palazzo ritrovato
Distinguere tra Medioevo autentico e Medioevo romantico a Sutri non è questione di lana caprina: il neo sindaco Sgarbi, con il sostegno del Professor Emanuele, fa rivivere il fu palazzo vescovile Doebbing. Un restauro e una serie di mostre tra antico e contemporaneo, tra oggetti artistici legati alla devozione religiosa e provocatori kouroi in seppia restituisce gli ambienti del palazzo a cittadini e curiosi
Intrigante per le vestigia romane, misteriosa nel Mitreo scavato nel tufo che subito accoglie i visitatori provenienti da Roma, elegante per la villa Savorelli-Staderini con giardino all’italiana e grazia settecentesca, Sutri è una perla del Lazio (ce n’eravamo siamo già occupati in questa rubrica). Tanta bellezza mette in disparte, nell’economia di una visita, l’altra metà di Sutri sull’altura che fronteggia il parco archeologico, il vero e proprio nucleo della città. Un peccato, perché la piazza del Comune è uno dei salotti architettonici motivo di vanto per il Bel Paese. E perché, più avanti, il Duomo, nella piccola piazza che pare non possa contenerne la facciata barocca, sfodera un prezioso pavimento cosmatesco in marmi verdi, rossi, grigi. Ebbene, questo borgo dalle straduzze lunghe, sul crinale della collina, ha ora una calamita: Palazzo Doebbing. Ad attivarla, come un fuoco d’artificio, è il neo sindaco Vittorio Sgarbi.
È l’edificio vescovile addossato alla Cattedrale, anzi alla Concattedrale di Maria Assunta, all’ombra del campanile romanico che rammenta l’origine medievale della chiesa. Anche Palazzo Doebbing ha aspetto medievale: ma è un Medioevo richiamato e anelato, nei merli che già si annunciano dalla facciata, nella torretta con l’orologio, nelle sovrapporte dell’interno, a sesto acuto e in peperino. Il fatto è che dal 1900 fu vescovo di Nepi e Sutri Joseph Bernardo Doebbing, nato a Monaco nel 1855, formatosi dunque in gioventù sull’onda di quel Romanticismo che l’età di mezzo aveva riscoperto e rilanciato. La vocazione religiosa non appannò, anzi esaltò, la preparazione culturale del prelato bavarese, che si spense a Roma nel 1916. Così, durante gli anni in cui fu il pastore della diocesi sutrina, volle esaltare la memoria del lungo soggiorno di papa Innocenzo III che nel XII secolo consacrò appunto la cattedrale. Senza dimenticare che nella città si era tenuto un secolo prima il concilio indetto dall’imperatore Enrico III. Diventata sede papale nel 1242-1243, quando Innocenzo IV vi si rifugiò per scampare il pericolo della discesa di Federico II, le sue fortificazioni in blocchi di tufo e la posizione strategica sulla via Cassia ne avevano fatto uno dei castra a protezione dell’Urbe. E così Doebbing impresse al palazzo vescovile, rimaneggiandolo nei sedici anni del suo magistero, un aspetto neogotico e militare, appunto con gli spalti merlati e la torretta che domina la vallata tutt’intorno, compresa la sottostante via Cassia e il parco archeologico. Al “medioevo novecentesco” di Monsignor Doebbing, che resta contenuto e non scade nel kitsch, si affianca il medioevo autentico: qua e là, negli scorci interni, affiorano le viscere della costruzione originaria, quel rettangolo del XIII secolo addossato, appunto, al Duomo più antico. Aver lasciato a vista queste impronte, aver permesso ai novelli visitatori di leggere la storia del Palazzo nelle sue stratificazioni è il merito del restauro che le Soprintendenze del Lazio hanno affidato allo Studio Adolini: camminare nei suoi ambienti significa ritrovare intonaci con tracce di antichi decori, i solai e le finiture di gusto nordeuropeo volute dal vescovo insieme con gli arredi, imbattersi nelle mura romaniche della Cattedrale.
Al vulcanico Sgarbi tanto ben di Dio non poteva sfuggire. Detto fatto. Nello spazio di un mese ha riempito con dieci mostre gli ambienti recuperati dal MiBACT, forte del sostegno mecenatesco del Professor Emmanuele Emanuele (è a Sutri il suo buen retiro) e della Fondazione Cultura e Arte da lui presieduta che ha assicurato aiuto economico a Palazzo Doebbing per dieci anni. Ad ogni esposizione, sebbene in qualche caso si tratti di una sola opera, è dedicato uno dei grandi ambienti: c’è un vibrante Idillio verde di Pellizza da Volpedo (nella foto a sinistra) definito da Sgarbi «meditazione lirica capace di trasmettere la stessa emozione provata camminando nel parco archeologico di Sutri»; ci sono le icone fotografiche di Matteo Basilè, «che usa il digitale come un pittore i colori». E le nature morte di Italo Mus, artista aostano vissuto a cavallo tra Otto e Novecento, soldato della Grande Guerra, a torto lasciato in disparte; Luigi Serafini omaggia la città con Altalena etrusca dai colori mediterranei; Giovanni Judice replica il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo dedicandolo ai Migranti. Provocatoria la sala che ripropone i Kouroi di Wilhelm von Gloeden che, nelle foto color seppia di primo Novecento, ha fissato i nudi di giovanetti siciliani «inconsapevoli nel loro malizioso erotismo», commenta il critico-sindaco. A nostro avviso una scelta tuttavia inopportuna, per la sede espositiva, il palazzo vescovile, e per le contingenti bufere sulla pedofilia che squassano la Chiesa cattolica. Emozionante, invece, l’afflato religioso e artistico delle opere nella sezione “La Bellezza di Dio”: 34 fra dipinti, sculture, oggetti provenienti dal territorio della diocesi di Civita Castellana con ispirati lavori di Antonio da Viterbo, Sano di Pietro, Antoniazzo Romano e maestri delle chiese dei dintorni, da Bassano Romano a Sant’Oreste. Le mostre resteranno allestite fino al 13 gennaio 2019 e a dicembre dialogheranno con tela San Francesco riceve le Stigmate di Tiziano, in arrivo dalla Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno, affiancata da una pala di Scipione Pulzone e da un capolavoro di Giovanni Lanfranco. Allora dalla terrazza e dal giardino di Palazzo Doebbing, dove trovano collocazione anche gli animali in bronzo – coccodrilli, delfini – e le “piante immortali” di Luciano e Ivan Zanoni, lo sguardo spazierà sul foliage autunnale. Un’altra luce, un’altra stagione. E intanto il Professore e il Sindaco premono «sulla necessità impellente di restaurare il Mitreo».