Un viaggio singolare tra un amore difficile, deserti veri e figurati, giochi linguistici: è la voce di Giulia Martini. Classe 1993, pistoiese di origine, fiorentina per formazione universitaria, “Coppie minime” è la sua seconda raccolta di poesie
«La mia carta canta quello che tu/chiami deserto per modo di dire»: suonano come una dichiarazione di intenti i due versi che chiudono una delle poesie della raccolta Coppie minime (Internopoesia, 2018) firmata da Giulia Martini. Classe 1993, pistoiese di origine, fiorentina per formazione universitaria, aveva esordito con la raccolta Manuale d’Istruzioni (Il Filo, 2015). La giovane autrice afferma programmaticamente che la sua carta canta il vuoto del deserto, ma come può la parola esprimere il vuoto? Come può la poesia restituire l’aridità di senso dal quale promana? La risposta è racchiusa nei versi stessi: «per modo di dire», cioè attraverso la parola stessa.
Al di là della maestria linguistica, però, ad affascinare il lettore di Coppie minime concorre il tormentato rapporto sentimentale con Marta, la grande protagonista femminile del libro. Tra sentimenti eterni come l’amore non corrisposto e nevrosi tutte contemporanee come le relazioni in chat («ti vigilo l’ultimo accesso»; «So sempre dove sei/quando sei online»; «che brivido la scritta sta scrivendo…»), si dipana l’itinerario di un sentimento prima totalizzante, poi incapace di scendere a patti con l’idea dell’abbandono. Per fuoriuscire dal deserto, in questo caso sentimentale, un aiuto arriva proprio dalle infinite potenzialità del linguaggio, un deserto per modo di dire.