Valentina Fortichiari
Il nuovo romanzo di Salvatore Basile

Lacrime di sale

Lo scrittore, sceneggiatore e regista tesse con sapienza, ne “La leggenda del ragazzo che credeva nel mare”, una storia di riscatto interiore che trova nell’elemento che ha segnato il destino del protagonista, il bandolo di un filo interrotto, la possibilità di guarigione

La manutenzione dei sentimenti, degli affetti. Non c’è nulla di più misterioso, delicato, forse istintivo: non si può imparare a voler bene, ad amare, e niente o nessuno può guidarci nella complessa strada dell’amore. Specie tra un figlio e un padre. A volte rancori che durano una vita intera sono l’ostacolo apparentemente insormontabile che una sola parola, un gesto, possono cancellare di colpo. Diversamente, il mare calmo dei sentimenti può repentinamente mutarsi in tempeste e furori.

Salvatore Basile conosce bene la filigrana dell’animo umano, le sfumature del cuore, il colore delle passioni. Ci costruisce intorno libri che sanno parlare con una immediatezza, una semplicità disarmante e commovente, facendo leva su un episodio cruciale dell’esistenza, una sorta di interruzione di corrente, un corto circuito interiore. Già nello Strano viaggio di un oggetto smarrito (Garzanti 2017), ha messo a nudo il cuore abbandonato di Michele, che insegue l’amore perduto degli oggetti inanimati, senza accorgersi che proprio a lui sono stati rubati i sogni, proprio lui è stato derubato di se stesso. Con questo secondo romanzo, La leggenda del ragazzo che credeva nel mare (Garzanti, 278 pagine, 17,60 euro), Basile, che è sceneggiatore e regista, dunque a suo agio con il mondo delle immagini, dimostra di saper lavorare bene con il riverbero magico delle vite.

Qui c’è Marco, il protagonista maschile, il giovane Marco che si sente libero e felice, dimentico di un passato di orfano abbandonato dai genitori, soltanto quando può tuffarsi: «sul trampolino… io… tengo in mano tutta la mia vita. La devo solo lanciare giù… e allora all’improvviso ha un senso, la vita. E quando mi tuffo… mi sembra di volare, faccio quello che voglio io, nell’aria… comando il mio corpo e lui obbedisce. E allora vedo chiaro… la rivedo tutta, la mia vita… e mi sembra che finalmente ha un senso. Poi arrivo sott’acqua… e quando risalgo mi sembra di rinascere». I tuffi, che ha sperimentato di nascosto nella piscina dove lavora, simulano un volo che unisce fra loro due elementi, aria e acqua: sfidare la forza di gravità, compiere evoluzioni prima di toccare la superficie con la precisione di una lama, è un modo di sfidare se stessi e riprendersi la vita, una vita di cui ignora l’inizio, una vita senza ricordi famigliari. Della nascita ha una sola stigmate, un segno indelebile che porta sulla spalla, a forma di stella marina, una voglia di mare che ha marchiato per sempre il suo destino. Un improvvido, azzardato tuffo in mare da una scogliera, non soltanto lo ferisce (rendendo temporaneamente inerti spalla, braccio e mano), ma soprattutto gli mostra un aspetto del mare che non aveva mai considerato: un mare che può tradire, che si trasforma nel peggior nemico, capace di indurre panico e paralizzare anche la mente.

Prende avvio, da questo episodio, un lungo cammino di guarigione, di rieducazione degli arti ma, più profondamente, di cura del cuore, un cammino di conoscenza di se stesso, di rieducazione all’amore, nella doppia natura di amore filiale e amore per una donna. Un percorso difficile, perché Marco è diffidente e incline a non aspettarsi doni o gioie dalla vita, e ci vorrà la pazienza di Lara, già provata a suo tempo dal dolore (l’intreccio delle due esistenze è un modo empatico di unire le forze di un riscatto comune), per riconnettere la rete dei destini sorprendentemente condivisi, e aiutare i suoi amici (e se stessa) a uscire insieme da un tunnel per ritrovare la luce, lo slancio vitale.

Ciò che sorprende nella narrazione dell’autore, nell’alternanza sapiente di avvenimenti, immagini, flashback, dialoghi (Basile scrive un vero soggetto cinematografico), è la capacità di creare aspettative, di avvincere il lettore allo scorrere di una storia semplice di buoni sentimenti, di sorprendere con colpi di scena e virate proprio quando ci si sente vicini a un epilogo fortunato. Insomma la trama si sviluppa e avvolge, imbozzola quasi noi lettori, come se tutto accadesse davanti ai nostri occhi e fossimo tirati dentro una vicenda che diventa anche “nostra” man mano che si procede: soffriamo con Lara e Marco negli incontri con Antonio, l’ex pescatore, solitario e rancoroso con il mondo da quando ha perduto la moglie, rifiutando e allontanando da sé un figlio che gli avrebbe fatalmente ricordato il suo dramma. Lara vuole guarire Marco nel corpo ma soprattutto riportarlo alle origini, al bandolo di un filo interrotto, e a riassaporare il piacere del mare, dei tuffi, della vita, dell’amore. In fondo il mare è composto da lacrime di sale, osserva Basile, lacrime di dolore che a volte possono tramutarsi in lacrime di gioia.

Gli errori che tutti i personaggi hanno commesso e continuano a commettere, innocentemente, si riscattano in un lieto fine non banale, che tocca ciascuno, che vuole essere un messaggio dell’autore: la vita è complicata, non sempre facile e felice, eppure è nell’afflato degli affetti che uniscono, nella generosità di chi sa dare senza nulla aspettarsi, soprattutto nella profonda umanità dei personaggi, che è nascosta la chiave segreta del cuore, che – quando tocca la felicità – trova la forza di perdonare.

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