Ricordo di un attore regale
Sua Maestà Pizzetti
Quasi in silenzio se n'è andato Gianlugi Pizzetti, interprete brillante e disincantato di tante avventure nella nuova e nell'antica drammaturgia. Lo ricorda il regista che lo ha "nominato" Re nei "Tre moschettieri”
Ho conosciuto Gianluigi Pizzetti un sacco d’anni fa, nel 1986, in occasione della prima creazione de I Tre Moschettieri all’Aquila. Non ricordo come ci conoscemmo, se fu una presentazione o un provino a farci incontrare. Ricordo invece che non ci furono dubbi sul ruolo che avrebbe dovuto interpretare: Re Luigi XIII di Francia. Era un attore dalla figura alta e aristocratica, un allampanato piemontese di modi eleganti e forbiti. E li portava come un personaggio all’antica italiana, di quelli raccontati da Sergio Tofano: era un “brillante” nella definizione meritata da questo ruolo a poco a poco, attraversi i decenni tra l’Ottocento e il Novecento; quando dalla figura esplosiva, dinamica e farraginosa di prima, scaturì il conversatore garbato, acuto e ironico del dramma sociale o a tesi, il raisonneur di Pirandello che faceva la morale stando un po’ fuori dalla commedia come il portavoce dell’autore. Siccome la vulgata popolare dice che gli attori recitano sempre nella vita la loro parte (forse perché accade semplicemente il contrario, che portano sul palcoscenico loro stessi), Gianluigi sembrava sempre, appunto, “un po’ fuori della commedia” sia sul palcoscenico che nella vita. Non per disdegno o per incapacità comunicativa, anzi: era un compagno straordinario, generoso e vitale, incapace di cattiveria o di invidia e il teatro lo amava appassionatamente, recitare gli è sembrato fin da ragazzo il destino più bello del mondo e ci si divertiva sempre, a far finta di essere un altro. E nella vita coltivava fedeltà irriducibili, subito dopo esserci conosciuti avevamo scoperto di avere in comune una marea di amici di gioventù o di adolescenza lasciati in Piemonte per andare a seguire i nostri itinerari di teatranti: ma era lui che conservava contatti assidui e, tornando a Torino, era attentissimo a telefonare a tutti, organizzando rimpatriate affettuose e divertenti.
Allo stesso modo esisteva sul palcoscenico: si divertiva a recitare, si divertiva un mondo e si vedeva, comunicava al pubblico il suo divertimento e lui e il pubblico si divertivano insieme. Ma dentro questa felicità istrionica, c’era una sorvegliata attenzione ad esserci lui, sopra il personaggio. Per questo Gianluigi Pizzetti è riuscito ad essere anche scrittore, di parole scritte sulla pagina e non soltanto pronunciate insieme a gesti effimeri sulla scena: ho letto un suo divertente romanzo, forse persino troppo colto di citazioni e rimandi sapienti, Le dieci dame di Parigi; e il suo testo ultimo per il teatro, Casanova alla luna piena andato in scena un paio di mesi fa, presagio pensosamente lieto di fine corsa.
Così, quando due anni fa, ci ritrovammo per immergerci di nuovo in un’altra diversa e appassionante avventura de I Tre Moschettieri in otto puntate, a Torino, non ci furono dubbi: sarebbe stato di nuovo Luigi XIII di Francia, dopo trent’anni immutato nel rappresentare quell’autoironica caricatura di sovrano imbelle e capriccioso, Ubu roi da figurina Perugina. Il successo di pubblico, inaspettato in quelle dimensioni da epopea popolare e durato quattro mesi da febbraio a maggio 2016, fu anche e soprattutto un successo suo personale con signore torinesi che lo riconoscevano in pasticceria come in una poesia di Gozzano, con ragazzine adoranti che gli chiedevano l’autografo in metropolitana e con noi, colleghi e amici, che lo salutavamo con l’appellativo di “Maestà” che non gli dispiaceva affatto e che mostrava di gradire con riconoscente nonchalance. In quel cantiere interminabile di prove e rappresentazioni con cinquanta attori giovani (quasi tutti), scenografi, costumisti, musicisti, tecnici, istruttori di scherma, durante una pausa del lavoro, tra le repliche della quarta puntata e le prove della quinta, un giorno ci siamo raccontati la felicità di ritrovarci ancora una volta insieme, dopo tanti anni, con Luigi Perego, con Germano Mazzocchetti, con Gigi Saccomandi, con Gigi Proietti a giocare con il lavoro da privilegiati che avevamo scelto tanti anni prima: in un caravanserraglio, in una famiglia allargatissima di guitti e saltimbanchi appunto all’antica italiana dove in quattro mesi succedeva tutto quello che succede nella vita, amori scoppiavano e morivano, bambini crescevano guardando recitare la mamma, altri nascevano e li si allattava in prova, si facevano incontri memorabili e ci si perdeva. Purtroppo ci si scopriva anche ammalati, come è accaduto a lui.
Ma mi ha consolato pensare alla reciproca confessione di quella felicità condivisa, in questi ultimi due anni nei quali l’ho visto soffrire sì, ma continuando a divertirsi: in quella casa di noi tutti che è stato il Teatro Piemonte Europa, fino a poco fa, con Nicola Fano in After Shakespeare, con Alberto Gozzi in Tre Travestimenti, con Cesare Lievi in Leonce e Lena, interpretando, come quei “brillanti” di antica maestria, caratteri diversi, comici e drammatici; e ancora con i suoi colleghi attori radunandoli a recitare quel suo ultimo delizioso Casanova alla luna piena; e infine con gli amici di sempre, che ha voluto rivedere a Torino poche settimane fa, in una di quelle rimpatriate che amava organizzare e dove sarà sempre presente come il più sorridente dei suoi indimenticabili personaggi.
P.S. Ho scritto questo pezzo ieri, in viaggio, decidendo di tenerlo da parte e di rileggerlo oggi. La sera, arrivati a Torino, siamo stati con Gabriella alla prima di uno spettacolo musicale. Durante l’intervallo e alla fine, sono stato raggiunto da numerosi spettatori, almeno una quindicina e quasi tutti a me sconosciuti, che nel dirmi di essere stati fedeli abbonati dei Moschettieri, mi esprimevano il loro cordoglio per la scomparsa di Gianluigi. Due di loro mi hanno raccontato di averlo incontrato a inizio anno in un supermercato e di averlo salutato con un: “Buon giorno, Maestà!” E lui avrebbe risposto con un sorriso, porgendo la destra per il baciamano con un “Carisssimi!” Vedete un po’ se ho esagerato con il racconto precedente…