Nicola Fano
L'affaire Stadio di Roma

Loro, i Casaleggio’s

È incredibile come il mondo di immoralità, egoismo e affari dipinto genialmente da Paolo Sorrentino sia lo stesso - identico - che emerge dall'inchiesta sui Casaleggio's Parnasi e Lanzalone e che coinvolge grillini e leghisti

Solo un paio di mesi dopo, Loro, il film in due parti di Paolo Sorrentino, assume tutt’un altro significato. Prendete il personaggio dell’arrivista cocainomane e immorale interpretato da Riccardo Scamarcio e provate a sovrapporlo a questo tal Lanzalone che il vicepremier Di Maio (prima d’essere vicepremier, per la verità) ha premiato con il vertice dell’Acea per aver gestito ad arte la partita dello stadio di Roma. Andrà a finire, ora, che questo Lanzalone risulterà essere quasi un millantatore, un grand commis suo malgrado, uno che nessuno sapeva chi fosse…: scaricato dal suo cliente principale Beppe Grillo, scaricato dal suo inventore Casaleggio jr, scaricato da Di Maio (che lo ha costretto, diciamo così, a dimettersi una volta finito in galera) e ovviamente scaricato dalla sindaca Raggi (altrimenti detta non c’ero e se c’ero dormivo ma comunque sono donna). Proprio come l’imprenditore tarentino di Riccardo Scamarcio cui, alla fine del film, sconsolata la moglie chiede: perché ci hanno scaricato? Perché pensavamo di essere più furbi di loro, risponde Scamarcio. Ed è un’affermazione inquietante per molti motivi, come si vedrà.

Lo scenario che sta emergendo dall’inchiesta sugli imbrogli perpetrati in margine alla futura costruzione dello Stadio di Roma è inquietante proprio perché dimostra che il presunto cambiamento ridicolmente contrattualizzato dal ducetto leghista e dall’azzimato studente della Scuola Radioelettra Torino non ha cambiato un bel niente. C’è chi dice che nelle notizie sull’inchiesta trapelate fin qui non ci siano elementi penalmente troppo pesanti. Forse è così. Ma quel che è pesantissimo è proprio la pervasività dei nuovi potenti, la loro presunzione di impunità, il loro disprezzo per il bene comune nel nome del personale vantaggio. Che mestieri fanno, questi nuovi potenti? Perché son tutta gente senza una precisa professione? Perché, come i vecchi potenti, si dimenano tra cene riservate, locali alla moda, studi legali?

È ancora il film di Paolo Sorrentino a illuminare il presente: la filosofia dell’egoismo propugnata da Berlusconi/Servillo (e ancora meglio spiegata da Ennio Doris/Servillo) è la stessa che anima i protagonisti di questa ennesima commediaccia italiana: Lanzalone, Di Maio, Salvini, Giorgetti, Parnasi. Anche i ruoli sono gli stessi: ministri, sottosegretari, amministratori di beni pubblici (e pensare che a questo Luca Lanzalone i grillini hanno dato da gestire proprio l’acqua, bene pubblico principe nella loro strategia mistificatoria). Di più: la metafora di Paolo Sorrentino riunisce nell’esercito delle olgettine tutto il vasto e complesso mondo di stupidi creduloni, individui arrivisti nonché privi di gusto e di capacità di analisi critica che per trent’anni si sono fatti turlupinare da Berlusconi («Credevamo di essere più intelligenti di lui…», appunto. E pensate come questa battuta s’attagli perfettamente anche a D’Alema!). Allargando le maglie della metafora, ecco che dietro le olgettine possiamo rintracciare tutti gli innocenti che in questi anni hanno consegnato il Paese nelle mani di Salvini e della Lega votando qualcun altro. Qualcun altro che alimentava in loro l’illusione che l’ignoranza potesse essere un valore positivo, da ostentare (per dire: l’affermazione «Mi attaccano perché sono donna» di Raggi più che una idiozia è la frase di un individuo che non riesce a cogliere la complessità di ciò che le succede intorno; in perfetto stile grillino, del resto); qualcun altro che li ha convinti che per combattere la corruzione fosse sufficiente non fare nulla, invece di fare le cose seguendo principi etici precisi. «Ripartiamo dall’etica» ci siamo sentiti ripetere dai forsennati grillini capaci solo di mischiare le carte della storia di questo Paese. Ma l’etica non va alle cene riservate («Non ci deve beccare nessuno sennò è finita!») come quella organizzata da Lanzalone (nella foto sotto), Giorgetti e Parnasi per siglare, appunto in gran segreto, il patto d’affari che avrebbe portato, ottanta giorni dopo, al governo Salvini/Di Maio. Un governo, sia detto solo per inciso che, nella sua configurazione corrente, non è stato votato dagli italiani ma è formato da due forze che hanno chiesto il voto agli italiani per combattersi, non per accordarsi!

Ma non basta. Qualcosa d’altro ancora ha detto con chiarezza dell’oggi il film di Paolo Sorrentino, che pure racconta un’Italia apparentemente superata. Ed il portato della creduloneria veicolata per tramite degli strumenti persuasione di massa. Prendete la scena strepitosa nella quale Berlusconi/Servillo convince una povera donna a comprare un appartamento che non sarà mai realizzato. Un sogno, dice Berlusconi/Servillo; un sogno propugnato con la forza della tv. I Casaleggio’s, in nome di una spavalda modernità, hanno solo capito che a controllare le intelligenze (?) delle masse non sarebbe più stata la televisione ma il web. Ciò che spaventa della cosiddetta piattaforma Rousseau (povero Rousseau, quante volte si sarà rigirato nella tomba a veder preso sul serio il suo unico errore teorico!) non è tanto la sua opacità: ancora oggi non sappiamo ufficialmente come Berlusconi abbia fatto quella montagna di soldi che poi gli ha permesso di comprarsi il governo del Paese. Ciò che preoccupa è proprio l’impossibilità di verificarne i meccanismi. L’esercizio della verifica essendo un caposaldo non tanto del buon giornalismo (per questo le fake news non sono intaccate dal buon giornalismo), non tanto della democrazia (la democrazia propriamente detta è la grande sconfitta del Ventunesimo secolo) quanto dei tre principi fondativi della cultura sociale occidentale dal Settecento a oggi: libertà, uguaglianza e fratellanza. Curioso, veramente curioso che a smontare l’equazione illuminista secondo la quale le regole difendono i deboli, l’assenza di regole premia i forti sia stata un’entità che usurpa il nome di uno dei padri dell’illuminismo.

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