Every beat of my heart
Incipit al terzo millennio
I poeti sentono il tempo: lo sentono con dolore ma ne percepiscono anche il senso di speranza. Come Tomaso Kemeny in questo "Incipit" dedicato al futuro, come una nuova nascita
Il primo giorno del terzo millennio. Il poeta lo sente, poiché i poeti sentono il tempo anche epocalmente: nello scorrere, nel divenire, certo, ma anche nei suoi eventi fatali. E il passaggio da un millennio a quello successivo è tale. La nostra storia ha milioni di anni, ma da poche migliaia la raccontiamo. La poesia era nella nascita dell’uomo, quando da ominide, bipede, divenne altro, seppellendo i suoi simili, guardando ammutolito verso le stelle. Ma poi la poesia divenne anche espressione di se stessa, canto, e poi lettera scritta. Per restare. “Pietra scritta,” citando il grande Bonnefoy.
Tomaso Kemeny percepisce il passaggio del millennio come una nuova nascita: il tempo non è sentito nel suo carico di dolori e gioie, ma è interrotto, per rinascere. I Natali e le Pasque, le nascite e le resurrezioni, e gli avvenimenti terreni registrati negli annali, o predetti dagli oracoli, tutto ha senso. Ma vivere, in questo momento di passaggio, significa, senza affatto rinnegarlo, lasciare il passato alle spallle e abbandonarsi alla nuova nascita, seguendo il verso di un uccello.
Spesso nell’età moderna il tempo è vissuto dalla poesia come dolore. Dimensione che questi versi non è assente. Ma trionfa la speranza, il brivido della vita che ricomincia, elementare, gioiosa.
“I have been in love before”
(sono già stato innamorato),
ma non ho mai amato la vita
come oggi, il primo giorno
del terzo millennio. Gettiamo
nel fuoco di un sogno
diari e mille calendari
insanabili e oltre la sequela
delle Pasque e dei Natali,
oltre i presagi tratti dagli annali
ascoltiamo gli stridii primordiali
dell’upupa: “Ascoltatemi,
voglio vivere ancora
e ancora e ancora e ancora e…”
da Poemetto gastronomico e altri nutrimenti, Jaca Book, 2012