La mostra al Palazzo Reale di Milano
Le introspezioni di Toulouse-Lautrec
Da non perdere l’esposizione milanese che chiuderà i battenti il 18 febbraio. Un’occasione per ammirare oltre 200 opere del celebre conte pittore, tra dipinti, gouaches, disegni, litografie, acqueforti e affiches che raccontano il suo talento e le sue audaci sperimentazioni artistiche. E che spiegano la sua grandezza
Ultimo mese per ammirare a Milano il rutilante e gaudente mondo di Toulouse-Lautrec, ospitato nelle sale di Palazzo Reale (Il mondo fuggevole di Toulouse-Lautrec, fino al 18 febbraio), la sede espositiva che più si addice al millenario titolo nobiliare dell’artista, dopo ben sedici anni dall’ultima mostra (che si tenne presso la Fondazione Antonio Mazzotta nel 2001). Il conte Henri Marie Raymond de Toulouse-Lautrec-Monfa nasce infatti in una ricca e aristocratica famiglia della provincia francese, fra boscose tenute dove il padre organizza battute di caccia, castelli e turriti manieri, come l’avita dimora di Le Bosc, nel comune di Camjac, nell’Aveyron. La sua esistenza è precocemente segnata da una tara ereditaria e dalla conseguente deformità, a cui si aggiungeranno in età adulta malattie derivate dall’alcolismo e dalla sifilide, che lo porteranno alla morte nel 1901, a soli trentasette anni. La condotta anticonformista e scandalosa, inadatta al nobile lignaggio della famiglia, fu il motivo principale per cui acquisì in vita una certa notorietà, nonostante la qualità della sua opera fosse riconosciuta e sostenuta dagli amici pittori come Degas, Bonnard e Vuillard, o dagli editori come Thadée Nathanson, letterati come Mallarmé e Oscar Wilde, galleristi come Durand Ruel; eppure negli ultimi anni si troverà a dover ritirare le opere invendute e a mendicare denaro contante ai conoscenti, mentre la fama internazionale gli verrà tributata solo dopo la sua morte.
Lautrec dipinse febbrilmente per tutta la sua esistenza, a partire dai diciassette anni, quando la madre decide di fargli interrompere il liceo per frequentare un corso di pittura. La sua arte viene coltivata attraverso un solido apprendistato accademico, a cui egli aggiungerà una costante sperimentazione. Detesta infatti la pittura lustra e rifinita allora in voga e preferisce utilizzare colori fortemente diluiti sul cartone non preparato, conferendo così ai suoi dipinti un aspetto secco e riarso. La sua spiccata indole introspettiva e caricaturale gli consentirà poi di realizzare manifesti pubblicitari che sono considerati a tutti gli effetti i precursori dell’odierna cartellonistica pubblicitaria. In mostra sono esposte oltre 200 opere di Toulouse-Lautrec, tra dipinti, gouaches e disegni, oltre a litografie, acqueforti e affiches, e una quarantina di stampe giapponesi. Il percorso si snoda lungo le figure cardine e i luoghi che Lautrec ebbe a frequentare nella Ville lumière e, tra l’altro, rende conto degli interessi di Lautrec per l’arte giapponese.
La vita parigina, quella in particolare dell’allora nascente sobborgo di Montmartre, viene rappresentata nel suo fulgore, con una carrellata di scene, come i cabaret e i teatri, e di protagonisti del demi monde, raffigurati attraverso una descrizione psicologica mai moralistica, attenta al quotidiano e carica di ironia. Nel 1889 viene aperto il Moulin Rouge, café chantant di cui Lautrec sarà assiduo cliente, dove esporrà anche alcuni lavori e a cui dedicherà le opere più celebri. In mostra è presente la raccolta completa dei manifesti da lui realizzati, arte nuova che scopre nel 1891 grazie a Pierre Bonnard, in cui ritrae gestori dei locali, attrici e vedette dell’epoca che si affidano al suo tratto per promuoversi. È notevole l’esercizio di introspezione di Lautrec nel definire le sue figure attraverso un tratto elegante che fa emergere un moto interiore: l’inglese che tenta un approccio in L’anglais au Moulin Rouge; la curiosità di May Belfort; l’eterea Yvette Guilbert mentre canta, con gli inconfondibili guanti neri; l’attrice Anna Held sensualmente ammiccante; oppure il personaggio di finzione della bella e maliziosa Hélène Roland, la protagonista del romanzo di Victor Joze Reine de Joie: Moeurs du demi-monde, colta mentre con le sue labbra fiammeggianti stampa un bacio sul naso di un impacciato quanto facoltoso cliente.
Possiamo ammirare lo sfrenato can can di M.lle Eglantine e dell’esile Jane Avril, stella che si contrapponeva alla vistosa ed esuberante Goulue, “la golosa”, e la spettacolare danza di Loïe Füller, sia attraverso le litografie di Lautrec, che in due bellissimi filmati d’epoca visibili in mostra. Le prostitute sono ritratte nelle loro abluzioni quotidiane, senza alcuna morbosità. L’album Elles (1896) proposto in mostra rappresenta la migliore testimonianza di quanto Lautrec abbia partecipato al mondo delle case chiuse, come quelle di rue d’Amboise e rue des Moulins, dove di fatto vive, lavora e riceve gli amici. A proposito della tecnica con cui Lautrec ritrae la danza virtuosistica con i lunghi veli di Loïe Füller, occorre sottolineare la particolare sperimentazione di Lautrec: per ricreare il magico effetto di sovrapposizione di veli e i curiosi giochi ed effetti magici che la luce creava durante gli spettacoli della ballerina, l’artista utilizza polvere d’oro, perlescente, quasi pulviscolare. Lautrec dimostra di apprezzare le potenzialità della litografia, a tal punto che il lavoro a olio ne diventerà fase preparatoria e non finale. Nelle litografie svilupperà appieno la tecnica a spruzzo (crachis), con la quale riesce a ottenere sorprendenti effetti di leggerezza, di tessuti svolazzanti, di stoffe maliziosamente drappeggiate.
Capitolo curioso è l’interesse di Lautrec per l’arte e la cultura giapponese, per altro assai diffuso all’epoca, in coincidenza con il concludersi della politica isolazionista del Giappone a metà ‘800. Fondamentale impulso alla conoscenza dell’arte giapponese in Europa furono le Esposizioni Universali, che a Parigi si tennero nel 1867, e poi ancora nel 1878, visitata da un entusiasta Toulouse-Lautrec. Lo stile ukiyo-e offriva elementi di totale novità agli artisti europei e Lautrec in particolare apprezza nelle opere giapponesi le linee essenziali, le superfici piatte con larghe campiture di colori netti, l’assenza di ombre, il taglio da sotto in su delle immagini. La mode des japoniaiseries, titolo ironicamente coniato da Champfleury, in un articolo apparso il 21 novembre 1868 su “La Vie Parisienne”, influenza anche Lautrec, di cui in mostra sono esposti ritratti fotografici in kimono e in armatura da samurai.
Una lettura delle fonti giapponiste viene offerta affiancando alle opere di Lautrec alcune stampe giapponesi di Kitagawa Utamaro, Utagawa Kunisada e altri; mentre viene maliziosamente allestito un gabinetto erotico giapponese, dove fanno la loro comparsa le incisioni shunga, di cui non è letteralmente emulato da Lautrec il contenuto squisitamente erotico, quanto piuttosto lo spirito disinibito nel mostrare nudi e intimità sessuali. Mostra da visitare perché, concludendo con uno degli aforismi più commossi e affettuosi su Lautrec, dell’amico scrittore Jules Renard: «Toulouse-Lautrec più lo si vede più cresce. E finisce per essere di una taglia al di sopra della media».