A proposito di “Fenomenologia della mistica”
Dio senza demoni
Gerda Walther segue l'itinerario filosofico di Edith Stein elaborando un pensiero lontano sia dal vuoto formalismo religioso retorico ed istituzionale sia da qualunque forma di superstizione e di pietismo cieco-fideistico
Ho appena ultimato uno studio sul libro di Gerda Walther dal titolo Fenomenologia della mistica (Gerda Walther, Phänomenologie der Mistik, Walter-Verlag, Freiburg im Breisgau 1955). Un libro assolutamente straordinario, nel quale non si ritrovano solo una profondissima riflessione metafisico-filosofica ed una moderna filosofia religiosa. Vi si ritrova anche l’esposizione di una vera e propria prassi della mistica e della vita religiosa in generale. Dunque colui che si interroga senza posa sulla possibilità reale di un’effettiva esperienza religiosa viva, intensa e piena, potrà trovare in questo libro delle risposte davvero straordinarie.
La Walther è stata comunque una filosofa di razza, oltre che una studiosa di religione, psicologia e di fenomeni para-normali. E quindi quello da lei esposto è un vero e proprio pensiero. Esso quindi merita senz’altro grande attenzione da parte dei filosofi. Tale aspetto della sua opera si pone in inevitabile connessione con il pensiero di Edith Stein, e, per mezzo di questo, anche con il pensiero di Edmund Husserl, e cioè con la sua Fenomenologia. Più precisamente la pensatrice si dichiara esplicitamente debitrice non solo alla Stein, ma anche ad Alexander Pfänder, filosofo che appartenne anche lui alla cerchia dei pensatori prossimi ad Husserl (sebbene appartenente più propriamente al cosiddetto «circolo di Monaco»). La Walther studiò infatti alla scuola di Pfänder (a Monaco) e poi anche alla scuola di Husserl (a Freiburg).
Nel mio studio ho cercato di mostrare in che modo e con quale intensità la pensatrice si sia posta sulle tracce della Stein e di Husserl. Ed ho potuto constatare che, mentre con la prima sussiste una chiara continuità, con il secondo sussiste invece una chiara discontinuità. Ed i motivi di tali opposte relazioni sono esattamente speculari. Con la Stein, infatti, la Walther aveva in comune l’aspirazione ad una riflessione profondamente metafisico-religiosa e di tipo «spiritualista». Con Husserl invece ella non poteva in alcun modo avere in comune un’aspirazione del genere.
Il pensatore tedesco – per quanto abbia comunque (secondo Ales Bello) configurato una certa quale metafisica tendenzialmente religiosa –, rientrò invece decisamente in un orizzonte di pensiero filosofico (moderno) che non aveva la minima intenzione di avvalorare la tradizionale metafisica (meno che mai quella religiosa).
Posto questo, la mia analisi testuale (mirante a mettere in evidenza i principali aspetti tematico-dottrinari del pensiero waltheriano) ha evidenziato chiaramente una continuità tra la Walther e Edith Stein, che poi si traduce anche nell’atto di sviluppare e portare a compimento diverse idee steiniane. E la conseguenza di ciò è poi il configurarsi di una filosofia religiosa che senz’altro include larghissime aree del pensiero steiniano. Ma nello stesso tempo si pone anche con caratteri estremamente originali (per alcuni aspetti anche decisamente più avanzati di quelli steiniani).
A tale proposito ho mostrato come il forte accento posto dalla pensatrice sulla piena realisticità delle più estreme entità metafisiche (vere e proprie presenze sottilmente spirituali, delle quali lei postula la piena esperibilità) configuri nel suo pensiero una filosofia religiosa che non assomiglia a nessun’altra nell’attuale moderno scenario. Essa infatti sfugge ai limiti di tutte le forme di filosofia religiosa più o meno moderne – neo-scolastica di Maritain, spiritualismo cristiano, filosofia personalista, fenomenologia religiosa (di ascendenza insieme husserliana ed heideggeriana), etc.). Ma questo avviene in primo luogo in quanto la visione filosofico-religiosa waltheriana è molto estremisticamente onto-spiritualista. Essa afferma insomma che di fatto l’intero Essere non è altro che lo stesso Spirito divino stesso. E precisa inoltre che quest’ultimo non solo è il Fondamento invisibile di tutte le cose, ma è anche il Fondamento ultimo della nostra stessa vita interiore.
È esattamente in tal modo, dunque, che la Walther illustra da un lato la struttura spirito-animico-corporea umana (che inizia proprio con la sostanza spirituale quale «profondo-dei-profondi») e dall’altro lato anche l’ontologia interiore stessa nella sua essenza, che è appunto unicamente spirituale. Ulteriori conseguenze di tale visione filosofico-religiosa sono poi le seguenti: – 1) un idealismo radicalmente religioso, estremamente diverso da quello filosofico occidentale (e soprattutto husserliano), e molto prossimo invece a quello pitagorico-platonico e vedantico (in parte perfino gnostico); 2) un deciso anti-realismo che si oppone soprattutto al riduzionismo anti-metafisico oggi molto in voga non solo nella filosofia laica ma anche perfino nella teologia filosofica (vedi Lévinas, Marion, Kevin Hart, John Caputo, etc.).
È in questo contesto che la Walther attribuisce una piena realisticità all’esperienza sostanzialmente interiore delle entità spirituali metafisiche da parte del soggetto conoscente umano. E qui si tratta sia di esperienze psichiche più o meno paranormali (ipnosi, telepatia, medianismo), sia anche dell’esperienza religiosa stessa nella sua pienezza; fino a pervenire all’esperienza mistica nella sua pienezza. In tutti questi casi ella postula un’esperienza realmente percettiva di tali entità, che però sono del tutto immateriali nel senso di un’onticità spirituale estremamente sottile e sfuggente.
A tale proposito va però anche precisato che, in termini di fede religiosa, la pensatrice non si fa affatto sostenitrice di uno spiritismo occultista, ed inoltre avvalora pienamente l’esperienza religiosa cristiana. E tuttavia la sua visione radicalmente religioso-spiritualista sconfina senz’altro verso la moderna teosofia (Swedenborg, Rudolf Steiner, Solov’ëv, Berdjaev).
In relazione comunque alla Fenomenologia husserliana e steiniana, nella mia analisi del testo della Walther sono emersi elementi molto specifici che qui cercherò di riassumere. La pensatrice infatti fa avanzare notevolmente la dottrina fenomenologica dell’antropologia spirito-animico-corporea; portando così a compimento le tendenze già presenti presso la Stein, ma intanto distanziandosi notevolmente da Husserl. Lo fa in particolare chiarendo la natura dell’ontologia interiore (secondo quanto abbiamo prima mostrato) ed inoltre mostrandoci come il primo e fondamentale termine di questa triade (profondamente unitaria) è lo spirito profondo, e non invece l’Io cosciente. Inoltre ella ci mostra che tale ontologia costituisce la sostanza stessa che si pone alle spalle dell’Io, influenzandolo continuamente anche nel contesto della sua esperienza degli oggetti esteriori. Quest’ultima infatti affluisce all’Io non tanto attraverso l’interfacie corpo-mondo (dietro la quale c’è un Io in sostanziale relazione con il mondo esteriore), ma invece dal profondo, e cioè a tergo rispetto alla posizione che esso occupa. Posizione che è da considerare quindi decisamente superficiale rispetto a quella che è la più primaria sostanza interiore, ossia quella appunto spirito-animico-corporea – ed entro la quale lo spirito sconfina letteralmente (nel profondo ed a ritroso), sfociando così nella realtà universale ed impersonale dello Spirito divino stesso. Proprio su questa complessiva base la Walther illustra anche con precisione la dimensione dinamica di tale ontologia interiore. E lo fa mostrandoci il suo agire nei fenomeni dell’emersione di elementi onto-spirituali; i quali poi, a mo’ di onde costantemente emergenti dal profondo, investono l’Io da dietro. È proprio per questa via che si verificano dunque le esperienze psichiche totalmente interiori, delle quali la pensatrice ci parla; e che costituiscono per lei la vita psichica più primaria che esista.
Infine la Walther pone fortemente in discussione la primarietà ontologica dell’Io cosciente. E conseguentemente ella dà una forma totalmente rinnovata alla dottrina fenomenologico-husserliana dell’«intenzione». Infatti secondo lei l’oggetto che sta continuamente sulla linea di mira dell’Io cosciente sta in realtà dietro di esso, e non invece davanti ad esso.
Si tratta quindi di un oggetto totalmente interiore, e più precisamente si tratta della sostanza profonda che l’Io deve riconoscere come il proprio stesso Sé (ossia quanto ad esso appartiene più intimamente). È proprio in relazione a questo che la visione filosofico-metafisica waltheriana si raccorda profondamente con quella platonico-pitagorica, oltre che anche a quella vedantica.
Nel complesso direi quindi che alla complessiva visione della Walther va riconosciuto il valore di una filosofia religiosa moderna davvero strenua (ed affatto in conflitto con quella antica). Essa offre pertanto all’uomo moderno (e non solo al filosofo) la possibilità di vivere nuovamente una vita spirituale molto intensa ed inoltre anche molto autentica. La religiosità che scaturisce dal suo pensiero riesce infatti a prospettarci un’esperienza davvero effettiva di Dio (ma unicamente nell’interiore), senza però scadere in alcuno spiritismo occultista (non poche volte demonista), e comunque tenendosi lontana sia dal vuoto formalismo religioso retorico ed istituzionale, sia anche da qualunque forma di superstizione e di pietismo cieco-fideistico.