A proposito di “Naufragio”
Per Alessandro Leogrande
A pochi giorni dall'improvvisa scomparsa, un ricordo di Alessandro Leogrande, «il nostro più grande scrittore-reporter» che sapeva vedere la realtà dalla parte delle vittime
La vita spezzata di Alessandro Leogrande, a soli 40 anni, è qualcosa di insostenibile. Per ricordarlo vorrei soltanto riproporre una recensione che dedicai a un suo libro magnifico – Naufragio (2011) – nella quale tra l’altro dicevo che è il nostro più grande scrittore-reporter. Ad Alessandro – ovunque si trovi – , ai suoi amici e ai suoi cari, un grande abbraccio.
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8 marzo 1997, ore 18,57, Canale di Otranto: una piccola motovedetta albanese con 120 persone a bordo, la Kater i Rades, viene speronata dalla corvetta Sibilla della Marina Militare italiana, che ha l’ordine di compiere operazioni di “disturbo e interdizione” per fermare qualsiasi nave clandestina. L’esito è terribile: 57 morti, 24 dispersi e 34 superstiti. La più grande tragedia del mare prodotta da accordi tra stati e da politiche di respingimento. Alessandro Leogrande ce la racconta in Naufragio (Feltrinelli) mescolando l’epos di Conrad e il piglio documentaristico meticoloso di A sangue freddo di Truman Capote. Si comincia dalla tradizione orale dei villaggi polverosi a nord di Valona, dove i vecchi raccontano ancora l’impresa di Pirro re dell’Epiro, più di 2000 anni fa. Pirro per sconfiggere le legioni romane dovette trasportare gli elefanti attraverso il Canale di Otranto, lungo 60 miglia, e per farlo seguì la corrente del fiume Aòos, quasi un sentiero invisibile scavato tra le onde dell’Adriatico. Quando è caduto il regime claustrofobico di Enver Hoxha migliaia di albanesi hanno attraversato il mare ricordandosi di quel “sentiero”di Pirro.
Leogrande, nato a Taranto 34 anni fa, è il nostro più bravo scrittore-reporter, cronista puntiglioso e al tempo stesso visionario del presente. Ricordo almeno i reportage Nel paese dei vicerè (2006) e Uomini e caporali (2008).Anche in Naufragio usa sapientemente tecniche narrative “spettacolari” per condurre il lettore dentro il cuore di tenebra di un evento tragico ma non ineluttabile (come può essere una catastrofe naturale). Raccoglie dati, osserva, incontra sopravvissuti, militari, avvocati, etc., si mette in contatto con le associazioni antirazziste, cammina, ragiona…Ma soprattutto – ed è questa la “differenza” con altri reportage narrativi – assume il punto di vista delle vittime, ce ne fa sentire la voce. Questa identificazione empatica – penso solo al lungo silenzio con cui l’autore resta lì, a guardare il relitto della Kater i Rades – dà al libro una coloritura emotiva e una forza di rappresentazione che invano cerchereste in analoghe inchieste giornalistiche.
Accanto alle testimonianze e ai resoconti su quel blocco navale in alto mare, Leogrande raccoglie anche altre voci, leggende metropolitane, racconti più o meno fantasiosi intrecciati con eventi reali. Ad esempio è certamente vero (ed inquietante) che due disertori albanesi fuggirono verso l’Italia con un Mig ed eludendo ogni controllo radar riuscirono ad atterrare nel minuscolo aereoporto militare di Galatina. Ma è tutto da verificare che uno dei due sia diventato, per le sue doti di coraggio e abilità, il pilota dell’elicottero di Berlusconi! Il naufragio di quel Venerdì Santo del ’97 si conclude come tanti altri misteri italiani: riprese televisive improvvisamente interrotte, nastri silenti, incriminazioni mancate(gli unici due colpevoli ufficiali sono il comandante della corvetta e il timoniere della motovedetta), ordini che non si sa più chi abbia dato, risarcimenti offensivi… Il libro si conclude invece con il lungo elenco delle vittime, di cui è indicata l’età al momento del decesso: in 31 avevano meno di 16 anni.