Every beat of my heart
I poteri di Dioniso
Dalle “Metamorfosi” di Ovidio, prodigiosa “Mille e una notte” d’Occidente, il racconto di un’esemplare dimostrazione della natura del dio dell’estasi, che trasforma in pesci i pescatori che voleva approfittare di lui. Nella traduzione di Roberto Mussapi
Nelle Metamorfosi di Ovidio, uno dei capolavori assoluti della letteratura di ogni tempo, noi assistiamo a un’incessante trasformazione: ogni pianta, fiore, animale, pietra, è risultato di un avvenimento. Giacinto era un ragazzo, Aracne, il ragno, una tessitrice. In questo prodigioso Mille e una notte d’Occidente, incontriamo Dioniso in una prestazione degna del suo nome, esemplare della sua natura e dei suoi poteri. Pescatori in sosta su una spiaggia lo raccolgono nell’erba ubriaco, all’alba, lo caricano sulla nave. È poco più che un bambino, di cui si accingono a approfittare. Solo il padrone della barca ha riconosciuto in lui lo sguardo di un dio, ma non lo ascoltano. Non appena viene toccato, il dio si rivela, paralizza la nave e tramuta all’istante i pescatori in pesci: coloro che lo volevano preda, diventano prede, regredendo dal mondo degli umani al regno acquatico.
Allora il dio, beffardo, come se avesse finalmente
scoperto l’inganno, voltosi al mare dalla tonda poppa
facendo il verso disse: «Non sono queste
le rive promesse, né è questa la terra che ho richiesto.
Quale colpa ho commesso, e che vanto per voi aver gabbato
un bambino, solo, voi in tanti e tutti più grandi?».
Io da tempo piangevo, ma l’empia masnada ride
alle nostre lacrime e aumenta il ritmo dei remi.
E ora ti giuro su lui stesso (non conosco un dio più visibile)
di riferirti il vero come ciò che lo supera:
la nave che si paralizza nel mare
come imprigionata dal fondo secco di un cantiere,
gli uomini stupefatti che insistono coi remi e dispiegano
le vele cercando di navigare con gli uni e con le altre,
edere bloccano i remi e con nodi contorti
avvolgono e segnano le vele di pesanti grovigli.
E lui con la fronte incoronata da grappoli d’uva
agita l’asta coperta di pampini,
e attorno a lui appaiono tigri e forme vacue di linci
e corpi feroci di maculate pantere.
Gli uomini sobbalzarono, per paura o impazziti,
e per primo Medonte cominciò ad annerirsi
e a piegarsi con la spina dorsale che si curvava a vista d’occhio.
A lui si volse Licaba, «In che mostro ti stai mutando?»
e mentre parla la bocca gli si allarga e il naso s’incurva
e la pelle s’indurisce coprendosi di squame.
Ovidio
(Da Le Metamorfosi, traduzione di Roberto Mussapi, Nuages, Milano, 1997)