La voce del poeta: Giancarlo Sissa
Elemosine del tempo
Nel dettato poetico dell’autore mantovano, temi semplici e percorsi che procedono nelle contrade della sconfitta, dove un’umanità stanca trova riscatto e consolazione in un bicchiere o nel ricordo di un’infanzia forse perduta. Con un po' di autoironia, come nei versi inediti che pubblichiamo…
Giancarlo Sissa, nato a Mantova ma operante a Bologna, ha al suo attivo le seguenti raccolte poetiche: Laureola (1997), Prima della tac e altre poesie (1998), Il mestiere dell’educatore (2002), Manuale d’insonnia (2004), Il bambino perfetto (2008). Nel 2015 è uscita l’antologia Autoritratto (Italic Pequod, 164 pagine, 15 euro) che accorpa poesie scritte dal 1990 al 2012 e la raccolta di prose Persona minore (Qudulibri, 64 pagine, 9 euro). Il dettato di Sissa procede a strappi, per anacoluti, affidandosi a temi semplici, quasi trobadorici (l’umana condivisione, il vino, la volatilità della parola scritta) con una sorta di candore che non disdegna di immergersi in quelle che Roberto Galaverni ha definito «le zone cosiddette “basse” dell’esistenza, le contrade della sconfitta, dell’ingiustizia e del dolore». Sissa descrive infatti un’umanità stanca, lacerata, ripiegata sulle proprie angosce e ossessioni, che trova pace «nell’elemosina del tempo», accostandosi al bicchiere o ricordando un’infanzia irrimediabilmente perduta.
Può parlarci della sua ultima raccolta?
La mia ultima raccolta è in realtà una silloge di prose liriche raccolte sotto il titolo di Persona minore, prosecuzione ideale de Il bambino perfetto, l’altro esperimento di prose poetiche edito nel 2008 da Manni Editore con una postfazione importante di Antonio Prete. La prosa lirica è una dimensione del dire poetico nella quale mi regalo la possibilità di sperimentare e di “sbagliare” con le parole, una ipotesi operativa caratterizzata da una maggiore libertà operativa. Nel 2015 è stato pubblicato anche Autoritratto (Poesia 1990 – 2012), una “autoantologia” del mio percorso poetico con alcuni inediti ai quali attribuisco un certo valore. È da questa antologia che prenderà le mosse, senza fretta, il prossimo libro.
A proposito della sua poesia si è fatto spesso il nome di Giovanni Giudici che lei ha conosciuto personalmente. Può ricordarci la sua figura?
Giovanni Giudici, cui sono dedicati alcuni degli inediti cui accennavo prima, è stato per me un autentico Maestro di poesia e “in” poesia. Con Giudici e Alberto Bertoni abbiamo trascorso serate intere a parlare di come fosse importante lavorare ogni verso o dedicare tempo alla traduzione dell’opera di poeti appartenenti ad altre letterature, di come fosse ineludibile il praticare la palestra della poesia leggendo con accanimento fino a imparare a memoria i testi dei cari poeti ammirati – da Rebora a Saba, da Pound a Frost, da Machado a Puškin – lasciandoli poi risuonare nello spazio armonico del proprio atelier. Giudici era un poeta e un uomo difficile, un poeta severissimo, innanzitutto con sé stesso, molto schivo fatta salva però la capacità tutta sua di lasciarsi prudentemente avvicinare dalle persone che stimava – diventava allora molto dolce, attentissimo, generoso.
Come riesce a coniugare la sua attività professionale con la dimensione della scrittura?
La mia professione è, da quasi tre decenni ormai, quella di Educatore Professionale (sì, entrambe le parole con la maiuscola, a evidenziarne la concreta rilevanza) e da forse ancor prima quella di “diarista” teatrale – un poco meno assiduamente quella di attore – e non ho mai trovato che ci fosse una distanza fra queste tre ipotesi operative: la Poesia, il lavoro nel Sociale e il Teatro. Anzi, la scrittura le permea, le vive e persino le agita in modo democraticamente uniforme. Da due anni con l’attrice e scenografa Alessandra Gabriela Baldoni lavoriamo a un progetto teatrale e di psicanalisi applicata dedicato alla fiaba di Rosaspina (con noi lavorano da tempo anche la poetessa Martina Campi, il musicista Mario Sboarina e la giovane artista Luna Marie Balestra); da molti anni svolgo una attività piuttosto intensa come Formatore di Operatori del Sociale occupandomi di “Scrittura Professionale” e potrei farti altri esempi. Il collante di queste diverse attività è l’idea umanissima che la poesia e la cura di sé sono percorsi di Dignità ineludibili.
Esiste un rapporto stretto tra poesia e prosa?
Esiste, sì, e talvolta m’è capitato di pensare, parafrasando scherzosamente una frase celebre di ben altro tenore, che la poesia sia in fondo la “prosecuzione della prosa con altri mezzi”. Il linguaggio è per me un organo di conoscenza, il modo in cui io preferibilmente incontro il mondo e provo a restituirne una immagine plausibile, disubbidiente, poco addomesticata, sincera… in questo prosa e poesia procedono in dialogo. Del resto esistono capolavori in prosa che sono vere opere di grande poesia, come definire diversamente Le onde di Virginia Woolf ad esempio? e in quale cassetto mettere l’incandescenza della cosiddetta “prosa d’intensità” di Daumal e compagni? inoltre, cosa ne è della prosa che rinuncia alle ipotesi nobilmente zoppicanti e alle slogature generose della poesia? a ben guardare ognuna contiene l’altra in un processo di creazione incessante e presente anche nella lingua del quotidiano e persino nei superstiti dialetti.
Alberto Bertoni parla, riguardo alla sua poesia, di «una dizione poetica tutta esistenzialmente viva e incarnata». Non pensa che una delle dimensioni con la quale va giudicata la poesia attuale sia quella del riconoscimento dell’autenticità?
È una domanda complessa. L’autenticità è il contrario della falsità, difficile stabilire con precisione cosa siano l’una e l’altra. Credo che la poesia perda progressivamente senso e valore mano a mano che si allontana dall’orizzonte dell’onestà consapevole e disarmata. Forse l’autenticità può essere letta come la disponibilità del poeta a darsi nell’interezza della voce, a confessarsi creatura curiosa e itinerante e da questo punto di vista l’autenticità si svela anche come il contrario dell’impostura. Si tratta, io credo, di avvicinarsi a questo: al coincidere della propria voce con la trama dei propri vissuti, con il tessuto dell’esperienza, intendendo per esperienza l’incontro con i dati di realtà che il quotidiano ci offre, ma anche con le dimensioni del sogno, dello spirito, dell’esistenza tutta, della vita che cerca di riconoscersi e dirsi sfuggendo ai troppi “ismi” dai quali siamo assediati. L’autenticità come indipendenza mi convince sia come categoria che come dimensione del poetico.
Quali sono i suoi autori di riferimento?
Molti, soprattutto nel Novecento italiano ed europeo. Fra i poeti certamente Vittorio Sereni, Giorgio Caproni, Cristina Campo, oltre a Giovanni Giudici e Ferruccio Benzoni. In Europa René Char, Saint-John Perse, Paul Celan, il Luis Cernuda di Ocnos, Ghianis Ritsos, T.S. Eliot, Mandel’štam. Molti in realtà, da non poterli citare tutti. Ci sono poi letture in prosa che io trovo assolutamente imprescindibili: Il Dottor Zivago di Pasternàk, Céline, Virginia Woolf, Kafka su tutti probabilmente, Guido Ceronetti, molta saggistica soprattutto di carattere filosofico, teologico e psicanalitico, pochissimi contemporanei, quasi nessun italiano. Ma in realtà questa è una domanda molto divertente, si presta a scherzi e persino a dispetti, potrei proseguire con l’elenco di opere e di nomi, ma l’essenziale mi sembra questo.
Cosa sta preparando attualmente?
Dal punto di vista della scrittura in versi sto lavorando a un possibile prossimo libro il cui titolo provvisorio è La costellazione delle altalene e che sarà il diario di una crisi profonda, esistenziale, sociale, sentimentale, ma anche di una prudente rinascita che segue un itinerario caratterizzato da spostamenti minimi ma cruciali verso un oriente marino nel quale la vera gloria, se di gloria si può parlare, è la resa incondizionata al dato umano, all’accettazione di sé nell’incontro con l’altro da sé. Sto anche lavorando a una raccolta di frammenti e di aforismi di carattere poetico e teologico che intendono esplorare lo spazio – gli interstizi? – fra poesia e preghiera, vale a dire le due forme più intere di sincerità verso sé stessi. Oltre a questo, come accennavo prima, collaboro con Alessandra Gabriela Baldoni a un importante work in progress teatrale e poetico dedicato a “Rosaspina” e di cui stiamo portando in Europa il primo di tre “atti” previsti.
Può commentare la poesia inedita presentata?
La poesia che presento qui, e molto vi ringrazio per l’ospitalità, sta cercando la sua posizione nella sezione che chiuderà La costellazione delle altalene. È un testo che mi rappresenta bene da un punto di vista stilistico e musicale nei suoi giochi di rime interne e drammaticamente scanzonate e che, soprattutto nella chiusura – versi filastrocca, ritornello di bambini che giocano al parco – porta in sé il senso più profondo dell’intero libro, vale a dire la possibilità di risolvere in modo autoironico lo iato, altrimenti durissimo, fra due età solo apparentemente distanti della vita come ci appaiono il presente d’un uomo di cinquantacinque anni e il suo essere bambino. Con la meravigliosa libertà di fallire e di stupire e stupirsi, ancora un po’.
***
Mi piacerebbe tremare di febbre
essere ubriaco a Gerusalemme
essere limpido e pericoloso
come una pietra del deserto
di Giuda, non sognare, niente,
solo saperti nuda, in riva
a un nuovo “come sarebbe”,
senza se e senza ma, senza
i soliti così non si fa. Dov’è
la nostra libertà di fallire e stupire?
épater les bourgeois, ma les bourgeois
siamo noi, carichi di colpa come
innocenti somari, come buoi
e anche troppi i come, sempre
in fondo pari, sempre con la
sinistra rima degli spari, ah
la solita musica, la solita rima,
senza nemmeno il rimpianto
di un arreso prima e la voglia
di combattere … cosa? la voglia
di scazzottarsi di ti do un pugno
che ti faccio volare fino là si diceva
da bambini, senza posa, un secolo
fa, e tralla-
llero trallallà …
Giancarlo Sissa