Cartolina dall'America
Hollywood party
Hollywood è sempre stata luogo di soprusi e prevaricazioni contro le donne: come mai le violenze di Harvey Weinsten hanno suscitato reazioni così forti? Forse perché negli States non sono tutti misogini come il loro presidente...
Sabato scorso il produttore Harvey Weinsten, cofondatore con il fratello Bob della Miramax, famosa casa produttrice di molti film di successo e collaboratore con registi di impatto mondiale – da Soderbergh a Tarantino a Gus Van Sant, da Greenaway ad Almodovar e molti altri – è stato espulso dall’Academy Motion Picture Arts and Sciences con l’accusa di molestie sessuali e stupro. Più di 30 attrici tra cui Gwyneth Paltrow, Angelina Jolie, Ashley Judd, Mira Sorvino, Rosanna Arquette, Asia Argento hanno infatti accusato il potentissimo uomo di spettacolo di averle non solo molestate e costrette ad avere rapporti sessuali forzati, ma anche minacciate di non lavorare se avessero rivelato le sua avances. Altre sono state comprate con accordi legali, altre ancora, terrorizzate sono rimaste in silenzio per anni.
Weinstein, licenziato dalla sua stessa società, si è visto restituire anche i soldi versati al partito democratico per le campagne elettorali di Barack Obama e di Hillary Clinton da cui è stato apostrofato con parole di condanna e di vergogna per il suo comportamento, che, abusando del proprio potere con soggetti che sapeva più deboli e di cui aveva in mano la carriera, ha danneggiato molte donne. Il suo carattere da “bullo” in generale, qualcosa che sembra andare di moda ultimamente in molti ambienti e non solo dello spettacolo, gli ha inoltre alienato anche le simpatie di molti registi e attori tra cui Michael Moore, Michael Caine e perfino il compianto Sydney Pollack. E perfino Oliver Stone, che inizialmente lo ha difeso, si è rimangiato le sue parole e ha ritirato la serie Guantanámo che doveva essere prodotta dalla Miramax, lodando il coraggio delle donne che si sono fatte avanti denunciando il mogul. Anche se, come scrive il Washington Post, i suoi atteggiamenti nei confronti delle donne erano noti da tempo, un “open secret” nell’ambiente.
Le accuse rivelate dal New York Times e dal New Yorker sono circostanziate. E seguono un rituale ben preciso. Le giovani attrici venivano invitate da Weinstein in una stanza d’albergo per un incontro di natura professionale. Invece il produttore si faceva trovare nel suo accappatoio e, o faceva delle avance, o chiedeva prestazioni sessuali o esponeva la sua nudità, chiedendo a molte di esse di guardarlo mentre si masturbava. Una prassi consolidata che nessuno aveva mai rivelato. Alcune delle malcapitate si sono salvate chiudendosi nel bagno o in un armadio per sottrarsi alle brame sessuali del potente uomo di spettacolo. Nello scambio verbale che lo ha incastrato e che è stato registrato dalla polizia di New York, l’uomo cerca di blandire una giovane attrice che si appresta a molestare, dicendo che per lui questa era un’abitudine. Dunque si presume che esistesse una “cultura della complicità” anche da parte di chi lo circondava. Cultura che non è nuova nello star system. Quella stessa che a Hollywood vige da numerosi decenni se, come ha affermato Tippi Hedren, una delle attrici preferite da Hitchcock, anche il grande regista l’aveva molestata. Quella stessa che, in una frase irripetibile, aveva fatto esclamare a Marylin Monroe, quando ottenne la prima parte importante che decretò il suo successo, che, da quel momento in poi, avrebbe potuto smettere di esibirsi in quelle prestazioni sessuali non volute e richieste di frequente dai produttori di turno. «Hollywood è un posto dove ti pagano migliaia di dollari per un bacio e cinquanta centesimi per l’anima» aveva detto la diva.
E che questo sia stato e sia un costume diffuso lo provano anche vari film. Su di esso si è perfino ironizzato. Chi non ricorda il famoso Hollywood Party di Blake Edwards del 1968 con un irresistibile Peter Seller nel ruolo di attore indiano che riesce a sottrarre dalle grinfie di un direttore di produzione una giovane attrice, al suo debutto, distruggendo la villa del produttore dove si teneva la festa? Che divertimento e che liberazione! Dunque, apparentemente niente di nuovo sotto la luce del sole.
E invece questa volta c’è stato un terremoto che ha scatenato la parte migliore di Hollywood e della stampa. Almeno in tempi recenti. In precedenza c’erano stati casi eccellenti di molestie sessuali tra cui, l’anno scorso, quello che ha visto coinvolto Bill Cosby il grande “comedian” amato dalle famiglie il quale per anni, dopo averle drogate, aveva abusato sessualmente di moltissime donne che erano state messe a tacere con accordi milionari o terrorizzate in altri modi. E poi, anche se con diverse sfumature in tempi più distanti dall’oggi, c’erano stati i casi di Roman Polanski e Mel Gibson che non erano però risultati molestatori seriali. Ciò, va precisato, non toglie nulla alle loro responsabilità, ma la gravità delle loro azioni risulta mitigata dal fatto che, per loro, il caso di molestia di cui sono stati accusati è uno solo. Eppure tutti e tre questi famosi uomini di spettacolo sono rimasti parte della Motion Picture da cui invece Weinstein è stato espulso. E allora cosa è successo questa volta?
La risposta sta in una serie di circostanze. Oggi ci sono più donne in posizioni di potere pronte a raccontare le storie di altre donne. E che non condonano nessun comportamento misogino o di violenza sessuale di questo tipo. La chief executive del board dell’Academy è infatti una donna, Dawn Hudson, che, in anni recenti, ha compiuto passi da gigante per far crescere il numero di donne in questo settore che storicamente è popolato in maggioranza da uomini. E anche nel campo giornalistico le donne hanno cominciato a occupare posti di potere e a parlare di quello che hanno dovuto subire per fare carriera. Basta pensare alle accuse che Gretchen Carlson e Megyn Kelly, due giornaliste di spicco di Fox news, hanno mosso contro Roger Aisles, il mogul e fondatore del canale, che per anni aveva molestato le giornaliste e le impiegate che lo circondavano. O a quelle contro Bill O’ Reilly, anch’egli giornalista di punta di Fox news. Vale la pena di ricordare che ambedue queste “allegations’ sono molto recenti. Quella contro Aisles, deceduto poco dopo i fatti in questione, è dell’anno scorso, mentre quella di O’ Reilly di poco tempo fa. Ambedue sono stati costretti a lasciare il loro posto di lavoro (non senza però liquidazioni milionarie: un altro particolare che fa riflettere…).
Inoltre, per una sorta di legge del contrappasso molto frequente da questa parte del mondo, adesso che alla Casa Bianca siede uno dei presidenti più misogini e pieni di pregiudizi della storia degli Stati Uniti, comprovato molestatore sessuale dalle sue stesse parole registrate e diffuse durante la campagna elettorale del 2016, le donne trovano di più il coraggio di parlare e di esporre i loro persecutori. E le giornaliste a cui si rivolgono sono più disposte a rivelare le loro storie forse perché anche loro, in un modo o in un altro, sono state frequentemente vittime di tali comportamenti. Questa è l’America… baby!