Alessandro Boschi
Il nostro inviato al Lido

La colpa di Hannah

"Hannah" di Andrea Pallaoro con Charlotte Rampling è un tipico film "da concorso", ossia una pellicola che non immagina un rapporto vero con il pubblico. Perché racconta un non detto che resta oscuro

Giusto ieri leggevamo della questione se esistano o meno i film da concorso o se, semplicemente esistano film, per i quali non ha nessun senso questo tipo di catalogazione. Se però questa catalogazione esistesse, Hannah, di Andrea Pallaoro, presentato questa mattina in concorso, sarebbe proprio il tipico film da concorso. Interpretato da Charlotte Rampling è la storia della protagonista del titolo, una signora in là con gli anni che vive con uno stile da perfetto travet le sue giornate disperate e disperanti. Hannah è un film sulle conseguenze, le cui cause il regista si guarda bene dal mostrarci se non con suggerimenti e sottintesi sparsi lungo il percorso. Si intuisce infine una storia di pedofilia, di complicità tra moglie e marito, di menzogne casualmente svelate proprio a causa di alcuni bambini e dei loro giochi domestici.

La Rampling durante tutto l’arco del film si spoglia e si riveste, mostrando l’aridità di una vita essiccata da una colpa non sua e da una complicità che vive sul confine tra la scelta di una fedeltà e una fiducia devota e dovuta al marito e un insanabile disprezzo filiale. Di certo Andrea Pallaoro non ha pensato al pubblico durante la realizzazione di questa pellicola, il che è del tutto legittimo anche se per chi scrive altrettanto del tutto discutibile. Ma i festival servono anche a questo, spiace però che rischi di essere l’unico terreno di caccia di alcuni film.

A proposito, solo per aggiungere una considerazione su Mektoub My Love: Canto Uno di Abdellatif Kechiche. Dire che il film ci sia piaciuto è una esagerazione, ma ci è difficile non riconoscergli un certo fascino, che però affoga nella ripetitività e nella ridondanza. Di certo i suoi fan saranno stati contenti nel sapere che oltre al secondo ci sarà anche un terzo Canto

Infine una precisazione, perché quello che è giusto è giusto. Ci è capitato negli anni di citare la frase di Michelangelo Antonioni: «se avessi messo nei miei film la metà delle cose che ci hanno visto i critici potrei a buona ragione considerarmi un genio». Ecco, chi la fa l’aspetti. Scrivendo infatti di Ammore e Malavita dei Manetti & Bros avevamo infatti ipotizzato la citazione di Mimì metallurgico ferito nell’onore attraverso il porro del sosia di don Vincenzo e il neo di Turi Ferro. «No, è stata la risposta divertita di Antonio Manetti, ma sarebbe stata davvero una bella cosa!».

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