Nicola Fano
A proposito di "Non è una questione politica”

Partito Berardinelli

Dall'alto del nitore del suo senso critico, Alfonso Berardinelli legge le cose della politica. E spiega che sono governate da «un'ideologia fondata sul pensiero e non sulla realtà»

«Se c’è un posto in cui non vorrei stare è la testa di chi si sente elettore fedele di una Sinistra “prigioniera del proprio passato”. Era così bello questo passato? Quale passato? La rivoluzione sempre alle porte degli anni ’68-’75? O quella fantastica (volevo dire: fantasiosa) chiamata “compromesso storico”, che in condizioni di perdurante Guerra fredda faceva credere possibile che un partito comunista (dico comunista nel senso di legato all’Unione Sovietica) andasse al governo in un paese della Nato, cioè militarmente tutelato dagli Stati Uniti?». Con un velo di affetto prossimo all’umana pietà, Alfonso Berardinelli coglie il senso dell’illusione che ha attraversato gli anni Settanta, quando parla di politica. Quegli anni, cioè, dai quali discende per via diretta questa guerra tutti-contro-tutti che nelle dinamiche sociali abbiamo sotto gli occhi da un po’. E può essere fecondo leggere le riflessioni che compongono il libriccino Non è una questione politica (Italosvevo, 67 pagine, 10 euro) ponendo mente ai recenti risultati elettorali e alle polemiche che ne sono seguite: di qua i dalemiani (palesi o mascherati, ex o post) a brindare alla propria sconfitta (dopo averla perseguita per decenni con una tenacia degna di ben più alti obiettivi), di là i renziani i quali per bocca di un simpatico ministro con la faccia da bambino sciocco (solo la faccia?) negano pure l’evidenza. Ossia che la politica della sinistra italiana dal dopo “compromesso storico” – nel senso berardinelliano – in poi è stata una sequela di errori. Errori, evidentemente, dei quali chiunque dotato di estro scenico e denari ha saputo approfittare: da Berlusconi a Grillo.

Già, ma qual è l’errore? Quale il peccato originale? Eccoci alle pagine di Alfonso Berardinelli: quella «tipica ideologia fondata sul pensiero e non sulla realtà». Diagnosi semplice e drammatica. Rileggete queste parole (pensiero senza rapporto con concreto con la realtà) e improvvisamente tutto apparirà chiaro. Comprensibile, d’altro canto, che a svelare il segreto (di pulcinella) sia proprio Alfonso Berardinelli. Ossia un critico e storico della letteratura deluso sia dalla critica sia dalla storia. Al punto che qualche anno fa, polemicamente, abbandonò la prestigiosa carriera accademica per mantener fede alla realtà a dispetto degli altrui pensieri (che, per altro, sovente non erano nemmeno buoni propositi).

E allora affoghiamo insieme a lui, declinando la delusione per questa nostra realtà priva di pensiero (nel senso che nessun pensiero riesce a racchiuderla). Le pagine di Non è una questione politica raccolgono una serie di articoli pubblicati negli ultimi mesi da Il Foglio, Il giornale e Venerdì: affrontano temi politici a partire da libri, ma dalla carta stampata allargano presto lo sguardo alla società. Senza infingimenti né ideologie né obblighi di schieramento: da qui il titolo. Nel senso che non c’entra la politica come oggi la intendiamo, ossia scaramuccia di potere condotta per il tramite dei partiti (e non piuttosto arte di fornire soluzioni ai problemi degli individui); c’entrano semmai i malintesi destini comuni per come essi sono stati strapazzati nel corso del secolo passato. Perché è proprio questo il vulnus denunciato da Berardnelli (sommessamente, con una eleganza che spesso l’oggetto della denuncia stessa non merita): la crisi della massificazione predicata dal Novecento non ha condotto al recupero dell’individuo ma a quello dell’egoismo. Che in politica può avere effetti terribili, come tutti abbiamo sotto gli occhi.

Non solo. La non appartenenza partitica di Berardinelli gli consente di dire in modo diretto ciò che pensa, senza timori reverenziali; senza i vincoli del “politicamente corretto”. Fin dall’inizio: il primo intervento è dedicato al rapporto dell’Occidente (e dell’Italia in particolare) con i migranti. «Una marea di milioni di esseri umani in stato di estremo bisogno preme ai confini dell’Europa. Non si possono moralmente respingere. Non si possono socialmente accettare. Anche l’etica deve fare i conti con i limiti fisici e sociali». Siamo alle solite: pensiero e realtà. Salvo che non si può cambiare quest’ultima con la sola forza del pensiero. Il suggerimento di Berbardinelli è di non slittare romanticamente nella forza del destino ma di aggrapparsi all’evidenza dei fatti: cerchiamo di misurarci con le cose concrete, mai perdendo di vista la loro potenza devastante rispetto alle ideologie, alle strategie, alle illusioni. Come dire? Che molto più di mezz’Italia abbia in antipatia personale Matteo Renzi è un dato di realtà con il quale Renzi per primo dovrebbe fare i conti. D’altra parte, l’oblio che la storia ha imposto al suo peggior nemico (Massimo D’Alema) fu causato dalla medesima realtà: che ben oltre mezza Italia lo aveva in antipatia. Sì, direte che non è buona pratica far politica anteponendo simpatie e antipatie alla soluzione dei problemi concreti, ma questo è per l’appunto ciò che ammonisce Berardinelli nei suoi scritti in questione.

Con un aggravante, però. Che è un dito puntato sulla slealtà degli intellettuali (essere uno stolto, per chi dovrebbe viceversa essere in grado di cogliere la complessità delle cose è un atto di slealtà). È proprio contro la categoria dei pensanti per mestiere (o vocazione o convenienza) che Berardinelli scaglia con più determinazione i fulmini della sua ironia. Perché è da loro – vale a dire da chi insegna nelle nostre università, chi elabora analisi o teorie per il passato, il presente e il futuro – che sarebbe stato lecito attendersi uno sforzo per ricomporre il conflitto imperante tra pensiero e realtà. E invece… «Il peggiore guaio che poteva capitare a Marx sono stati i marxisti, tanto gli ortodossi, perché ciechi, quanto gli eretici, perché visionari» (e pensare che c’è stato un tempo in cui si diceva che bastava essere brechtiani per essere marxisti senza essere stalinisti!). Insomma, l’avrete capito: se esistesse un Partito Berardinelli, io mi ci iscriverei.

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