Allo Spedale del Ceppo di Pistoia
Schnitzler nostro contemporaneo
Lucrezia Guidone, diretta da Federico Tiezzi interpreta "La signorina Else" di Arthur Schnitzler: una donna la cui vitalità è umiliata da una società in crisi (anche morale). Proprio come oggi, insomma...
Arthur Schnitzler è un autore molto apprezzato dal teatro italiano. Partecipa dell’attenzione nei confronti del padre del “monologo interiore” anche La signorina Else, un racconto che l’autore viennese scrisse nel 1924, a sette anni dalla morte, avvenuta alla soglia dei settanta anni.
Che cosa fa de La signorina Else un titolo particolarmente amato e frequentato da registi e interpreti di teatro? Che cosa affascina tanto di questa giovane donna improvvisamente alle prese con ripetuti ricatti morali, anche da parte della famiglia, e con i propri contrastanti sentimenti, di attrazione e repulsione, di fronte alla bassezza del mondo in cui vive, uso all’ipocrita perbenismo di stampo borghese? Va da sé che la turbolenta vicenda della giovane Else è fatta apposta per mettere in risalto, al fine di denunciarle, le nefandezze e le contraddizioni di una società ormai nel mezzo di una feroce quanto irreversibile decadenza. La sua vicenda finisce pertanto per rappresentare, sia pure da una prospettiva che fotografa una società di quasi cento anni fa, l’epoca in cui viviamo, con quel tanto di irresoluta coscienza della crisi che sembra caratterizzarla. Anche noi siamo assediati, così come la protagonista del racconto, da un sentimento di progressivo declino, del quale arriviamo ad essere consapevoli, ma che non riusciamo ad arrestare.
Lo stallo civile e la stanchezza morale dell’Austria all’indomani del primo conflitto mondiale fanno da contraltare alla voglia di vivere di Else, che si presenta al lettore con le sue innumerevoli vitali contraddizioni e con quel tanto di irresponsabile e ironica leggerezza che ne guida a tratti i pensieri. Ed è anche questo l’elemento che la rende nostra simile e che finisce per attrarre: insomma ci viene offerta la possibilità di guardare, attraverso gli occhi di questa adolescente, le nostre angustie quotidiane con sufficiente irresponsabilità e insieme con la paura per l’incombente tragedia. Possiamo desiderare di superare il malessere individuale e collettivo senza veramente affrontarlo.
Queste rapide considerazioni sono stimolate, e in qualche modo confermate, dalla messa in scena del testo di Schnitzler che il regista Federico Tiezzi, con la complicità della trasposizione drammaturgica di Sandro Lombardi, ha confezionato per il Pistoia Teatro Festival, creatura all’interno degli eventi dell’anno che vede Pistoia come Capitale italiana della Cultura.
Tiezzi ha potuto disporre per la realizzazione dello spettacolo del prezioso settecentesco Teatro Anatomico dell’antico Spedale del Ceppo, un piccolo gioiello architettonico, mirabilmente conservato, che ospita ogni sera, fino al 2 luglio, i venticinque spettatori che possono assistere alla rappresentazione.
In questo caso lo spazio diventa particolarmente significativo nel fare emergere i contenuti dell’opera. Innanzitutto costringe ad una vicinanza tale con chi è impegnato a recitare da rendere comune, complice anche il caldo opprimente, la sensazione di progressiva inquietudine, di asfissiante disagio con cui la signorina Else affronta la propria vicenda. La sua storia insomma diventa la nostra: possiamo percepire dell’adolescente turbata, i respiri, le palpitazioni, i repentini cambiamenti di stato. Inoltre il luogo, con tutto quello che richiama e lascia intravedere, con quel tavolo anatomico di marmo posto proprio al centro del minuscolo anfiteatro, suggerisce l’ipotesi di una vivisezione, di un cuore messo a nudo, della scomposizione lacerante dei sentimenti, ma concepita con freddezza, con abilità per forza di cose scientifica, che è poi elemento caratterizzante la prosa di Arthur Schnitzler, un modo di procedere che tanto lo fece amare dal conterraneo Freud.
La giovane Else, che è in qualche modo “invitata” dalla madre ad accondiscendere alle richieste sessuali dell’ambiguo signor von Dorsday per ottenere il denaro che potrà essere utilizzato per salvare suo padre dall’arresto, è interpretata dalla brava Lucrezia Guidone, che ha il solo limite di essere fin troppo precisa. Accanto a lei, inizialmente rivelatosi sotto forma di coccodrillo, in una proiezione onirica forse troppo scontata, è l’ineffabile Martino D’Amico. La vicenda, che Tiezzi rende circolare, anticipando il finale e dandogli i connotati di un sogno, è accompagnata dal commento musicale, realizzato dal vivo da Dagmar Bathmann al violoncello, Omar Cecchi al vibrafono e percussioni, e Dusan Mamula ai clarinetti.
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Le fotografie sono di Luca Manfrini