Il catalogo del Novecento
Mistica di Bataille
Nel suo surrealismo, Georges Bataille mischia il piacere all'orrore, l'erotismo alla pulsione di morte e in questo consiste l'unicità dei suoi testi. Provate a rileggere “Storia dell'occhio”...
Georges Bataille nel suo sentire artistico e filosofico è profondamente prossimo al pensiero vitalistico di Henry Miller e Anais Nin ma, se vogliamo, ancora più estremo. Aveva un rapporto dissonante con la religione, i suoi genitori erano atei ma un momento traumatico nell’infanzia lo condusse prima ad abbracciare la fede cristiana e poi a negarla in vista di un atteggiamento mistico ed eretico. Il trauma fu per lui assistere allo stadio terminale della sifilide di suo padre, che divenne cieco e paralitico e aveva spaventose crisi.
Costruì la sua filosofia sulla base della volontà di potenza di Nietzsche, del libertinismo di Sade e associando il tutto a filosofi e mistici come Meister Eckhart e Siddharta, miscelando gli aspetti più esoterici del cristianesimo a quelli più trascendentali del buddismo. Bataille era anche uno scrittore, il più famoso dei suoi scritti narrativi è la Storia dell’occhio: un racconto lungo, inizialmente uscito sotto pseudonimo, osceno e surreale. Ebbe quattro edizioni, la prima del 1928, illustrata da otto litografie non firmate di André Masson, l’ultima del 1967, pubblicata postuma da Jean-Jacques Pauvert, è l’unica a recare il nome di Georges Bataille.
Il surrealismo della Storia dell’occhio è ben diverso dal realismo magico di Hesse o da quello sudamericano. Tutto è realistico, solo, qualche riga sopra la realtà, come si trattasse della realtà di un sogno. Il surrealismo di Bataille è più vicino al surrealismo di Dalì, Magritte o De Chirico piuttosto che al surrealismo di Bréton o al realismo magico. Non ci sono elementi fantastici, quanto invece onirici. Non c’è il classico pesce fuor d’acqua del fantastico, ma l’intera vicenda che, per quanto realistica, assume tratti paradossali e grotteschi, come si trattasse di un sogno.
In sostanza la Storia dell’occhio è il racconto di un incantamento erotico del protagonista a opera della dissoluta Simone, hanno 16-17 anni quando s’incontrano e le loro esistenze saranno segnate dal connubio tra una pulsione erotica illimitata e il crimine.
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L’OCCHIO DI GATTO
Sono stato allevato in profonda solitudine e, fin dove posso ricordare, ero angosciato da tutto ciò che è sessuale. Avevo quasi sedici anni quando incontrai una fanciulla della mia età, Simone, sulla spiaggia di X. Le nostre famiglie erano imparentate alla lontana, i nostri rapporti ne furono affrettati. Tre giorni dopo esserci conosciuti, Simone e io ci ritrovammo nella sua villa, soli. Indossava un grembiule nero con un colletto bianco inamidato. Incominciavo a rendermi conto che lei condivideva l’ansia che provavo vedendola, ansia accentuata quel giorno dalla speranza che, sotto quel grembiule, fosse interamente nuda.
Portava calze di seta nera che salivano sopra il ginocchio, ma non ero riuscito ancora a vederle il culo (questo nome, che ho sempre usato con Simone, è per me di gran lunga il più grazioso tra i nomi del sesso); avevo soltanto l’impressione che scostando leggermente i lembi del grembiule da dietro, avrei visto le sue parti impudiche senza alcun velo.
Ora, nell’angolo di un corridoio c’era un piatto contenente del latte destinato al gatto: «i piatti son fatti per sedercisi, non è vero?» disse Simone. «Vuoi scommettere? Mi siedo nel piatto». «Scommetto che non oserai farlo» risposi quasi senza fiato.
Faceva estremamente caldo. Simone posò il piatto su una piccola panca, mi si piazzò davanti e, senza smettere di fissarmi, si sedette, senza che io potessi vedere, nascoste dalla gonna, le sue natiche brucianti immergersi nel latte fresco. Restai per qualche istante davanti a lei, immobile, il sangue alla testa e tremando mentre lei osservava la mia verga rigida tendere i pantaloni.
Allora mi stesi ai suoi piedi, senza che lei facesse un gesto, e vidi, per la prima volta, la sua carne «rosa e nera» che si rinfrescava nel latte bianco. Restammo a lungo immobili, entrambi sconvolti…
(Georges Bataille, La storia dell’occhio, Es 2005/2011, p.13)
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Prima loro vittima è la madre di Simone, costretta ad assistere inerme ai giochi erotici e sadici della figlia con il narratore, che prevedono il miscelarsi di minzione, sangue e sperma. Seconda vittima sarà la fragile e folle Marcelle, oggetto di desiderio dei due e che trascineranno in un’orgia dal tragico epilogo, visto che poi la ragazza verrà ricoverata in una clinica psichiatrica. Di qui i due protagonisti cercheranno di farla fuggire con loro con il risultato però di alimentare gli scompensi della fragile Marcelle fino a indurla al suicidio. Fuggono poi insieme in Spagna e qui incontrano il libertino dissoluto Sir Edmund, che si unirà ai loro giochi osceni. Assistono a una corrida, alla morte di un toro, prima, e di un torero, poi. Il torero aveva mostrato alla platea i testicoli recisi del toro morto, e durante la morte, invece il torero perde un occhio. Il surrealismo della Storia dell’occhio è, si diceva, un surrealismo soprattutto visivo, che non riguarda drammaturgia o elementi fantastici tra i personaggi. Il vero surrealismo qui è nel gioco di identità tra tutto ciò che è ovoidale. Tanto che, in una delle ultime scene del libro, i tre al culmine della depravazione si divertiranno a violentare e uccidere un prete, celebrando una messa al contrario e insozzando ostie e vino con sangue, urina e sperma. Qui, in questo momento, che è proprio il climax del racconto, Simone stacca un occhio al defunto sacerdote, lo guarda estasiata e rivolgendosi al protagonista-narratore gli dice: «E’ un uovo». La vicenda si conclude con lui che guarda nella vagina di lei l’occhio piangente di Marcelle.
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Da quel momento la si poté considerare guarita e lei manifestò la sua gioia parlandomi a lungo di svariati argomenti intimi, mentre solitamente non parlava mai né di se stessa né di me. Mi confessò sorridendo che un istante prima aveva avuto una gran voglia di liberarsi totalmente, ma che si era trattenuta perché così aveva provato un piacere ancor maggiore: la voglia infatti le tendeva il ventre e soprattutto le gonfiava il culo come un frutto maturo; inoltre, mentre il suo culo stringeva come in una morsa la mia mano infilata sotto le lenzuola, mi fece notare che continuava a provare quello stimolo, ed era straordinariamente piacevole. E quando le domandai a cosa la facesse pensare la parola urinare, lei mi rispose: bulinare, gli occhi con un rasoio, qualcosa di rosso, il sole.
È un uovo? Minuscolo, un occhio di vitello, a causa del colore della testa (la testa del vitello), è perché il bianco d’uovo è il bianco dell’occhio, e il tuorlo la pupilla. Secondo lei l’occhio aveva la stessa forma dell’uovo. Mi chiese di prometterle, quando avessimo potuto uscire, di fracassare a colpi di revolver uova scagliate in aria, contro il sole, e poiché le risposi che era impossibile, discusse a lungo per tentare di convincermi con certi suoi ragionamenti. Giocava allegramente con le parole, così diceva a volte rompere un occhio, a volte cavare un uovo, facendo inoltre ragionamenti insostenibili.
(Georges Bataille, La storia dell’occhio, Es 2005/2011, p.43)
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Bataille mischia il piacere all’orrore, l’erotismo alla pulsione di morte e in questo consiste l’unicità dei suoi testi, non si tratta semplicemente di un discorso sadiano, ha a che fare invece con la perdita di coscienza, con la dissoluzione psicotica dei limiti umani, ma anche, se vogliamo, con una distorsione del concetto di sacro, un’inversione tra vita e morte. A livello psicologico ciò si può ricondurre alla sua tragica storia personale, costretto ad assistere ai deliri di un padre reso cieco e paralitico dalla sifilide e impossibilitato nelle pulsioni primarie, e a una madre che più volte tentò di ammazzarsi, impazzita di dolore per la malattia del marito e per la vita terribile cui quella malattia aveva condannato non solo il malato ma anche la donna nella funzione perenne di inserviente. Georges dovette vedere troppo e troppo presto l’orrore di una malattia terribile, il dolore di una vita piegata in una funzione impropria, la rabbia che sfocia in follia. Ciò ne ha per sempre marchiato l’esistenza e di conseguenza anche il tipo di approccio alla letteratura, alla filosofia e alla vita. A livello teorico invece Bataille scrisse, tra i suoi vari saggi, L’Erotismo, in cui compare la definizione di sacro come ciò che eccede i limiti imposti dal lavoro: in ciò la distinzione tra sacro e profano. Sempre nel suddetto saggio c’è una splendida trattazione circa gli stadi dell’erotismo, che divide in eros dei corpi (la passione feroce propria degli amanti), eros dei cuori (la passione integrata nel sentimento, propria del matrimonio) ed eros dei santi o sacro (la passione cieca e violenta che trascende la vita, quella di chi consegna l’esistenza a una trascendenza religiosa). Per cui lui definisce sacro non un sentimento di abnegazione della carne ma una forma di spinta pulsionale così potente da non poter essere in alcun modo colmata dal corpo o dal cuore, la vocazione insomma. Eppure, nel personaggio perverso e osceno di Simone c’è qualcosa di simile a una vocazione ma vissuta in modo rovesciato, come se lei, ossessionata dall’immagine dell’occhio e dell’uovo, arrivasse fino al culmine del crimine non tanto spinta da un desiderio della carne quanto piuttosto da una trascendenza feroce, violenta, dell’animo, per cui le è impossibile non portare fino alle estreme conseguenze il frutto delle sue ossessioni. Di fatti, nell’ultima parte, mai scritta e di cui Bataille lasciò solo degli indizi, Simone avrebbe ricevuto poi una vocazione religiosa e si sarebbe fatta suora. Come in una fiaba crudele, ogni cosa si ribalta dopo una serie di eventi tremendi. Georges Bataille con la sua carnalità, con il suo vitalismo, è in realtà un mistico.