Every beat of my heart, la poesia
Heaney il fabbro
La cifra del grande poeta irlandese è moderna e arcaica. Emblematica dell’homo faber immerso nella materia, nelle profondità secolari e originarie, e proteso ai segreti del fondo, ai misteri nascosti nel buio della terra
Un poeta fondamentale della fine del Novecento e del nostro secolo: Seamus Heaney, uno dei grandi di questo tempo, con Bonnefoy, Luzi, Walcott, Milosz. Cifra di Heaney, la sua unica, quasi inafferrabile mitologia e mitopoiesi moderna e arcaica. Segnata dallo scavare, dal viaggio infero, dalle visite di anime interroganti o indicanti strade comunque non definitivamente salvifiche, la poesia di Heaney mostra la natura dedalica del mondo e dell’esperienza vitale. Richiamando il correlativo tecnico del poiein, del rovello, dell’ossesso lavoro di bulino. Sviluppa la metafora dello scavatore di torba come emblema dell’homo faber e quindi del poeta, immerso nella materia, nella melma secolare e originaria, ma anche proteso ai segreti del fondo, alla zona misteriosa celata nel buio materno della terra. I suoi personaggi: il torbiere, il pescatore di anguille, che caccia, inconsciamente, il fascino inafferrabile dell’anima vitale, il contadino che incanala un ruscello e incontra, nelle acque, Ondina, lo scavatore di torba: tutti, nella loro umile opera quotidiana, lavorano sul fondo: della terra, del mare, del canale, fino al centro infuocato della terra, il regno di Vulcano, il forgiatore del metallo, il dominatore del fuoco.
Sporco, caliginoso, sudato, in questa poesia straordinaria, il fabbro che esce con le ciglia cispose dalla fucina: come nel mito non solo greco, il fabbro è il poeta, che forgia e forma nell’incandescenza. Il poeta sporco d’ombra come lui di caligine, su entrambi tracce del fuoco, ritornano alla luce, dantescamente, uno dalla fucina, l’altro dal fondo della terra a cui doveva scendere, per conoscere il mistero sottostante e animante, aprendo Una porta sul buio.
La fucina
Tutto ciò che conosco è una porta sul buio.
Fuori vecchie assi e cerchi di ferro arrugginiti,
dentro il timbro acuto dell’incudine martellata,
l’improvvisa sventagliata di scintille
o il fischio di un nuovo ferro che si forgia nell’acqua.
L’incudine deve essere da qualche parte al centro,
cornuta come un unicorno, quadrata
da una parte e inamovibile: un altare
dove lui si consuma in forma e musica.
A volte, col grembiule di cuoio, i peli nel naso,
appare allo stipite, riscopre il rumore
di zoccoli in movimento tumultuoso,
poi sbuffa e rientra, sbatte e schiocca,
per tirar fuori con forza il vero ferro, lavorare ai mantici.
Seamus Heaney
(Traduzione di Roberto Mussapi, da Una porta sul buio, Guanda)