In memoria dello scrittore scomparso
Breviario Matvejevic
L'idea di Europa di Predrag Matvejevic sembrava rappresentare il futuro, il riscatto della cultura dell'uomo su macchine e tecnologie. E invece, la sua morte simboleggia la fine di un sogno
Ho appreso con stupore e con un sottile senso di colpa, la morte di Predrag Matvejevic. Lo stupore deriva dal fatto che da qualche tempo non era più presente sulla stampa, il senso di colpa invece nasce da altri fattori. Il primo è di carattere personale, l’avevo conosciuto un tempo e poi non l’avevo più cercato. Il secondo dipende da radici più profonde: tutti sappiamo quanto il Mediterraneo di oggi sia lontano dal Mediterraneo raccontato nei suoi libri, tutti sappiamo che siamo complici e vittime di questo degrado, tutti sappiamo che il mondo è cambiato sotto i nostri occhi e non sappiamo come uscire da questa frustrazione. Stiamo diventando ex-europeisti senza rendercene conto.
Mentre rimuginavo queste cose, ho cercato i suoi libri nella mia dissennata libreria e ho trovato Mondo ex, pubblicato dalla Garzanti nel 1996 (prezzo 32.000 mila lire). Degli altri più famosi Mediterraneo, Un nuovo breviario e Epistolario dell’altra Europa, nessuna traccia.
Ho preso fra le mani Mondo ex lo ho ripulito dalla polvere ed aprendolo ho trovato la sorpresa: la dedica dell’autore. «A Nicola Bottiglieri con stima ed affetto», segue uno scarabocchio di firma e poi la data Roma, 11.VI.1997. Mi sono stupito di questa dedica e immaginandolo morto, abbandonato nell’ospedale Godan Dom di Zagabria mi sono davvero commosso. «Cavolo, ho detto, cosa ho fatto per meritare la stima di questo grande uomo? Cosa aveva visto in me, che io non conosco? E, Dio Santo, perchè è morto in modo così triste?».
Ma il mio stupore non era finito, perché fra le pagine ho trovato una lettera intestata “Dipartimento di Studi Slavi e dell’Europa Centro-Orientale” Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, datata 11.6.1997. La coincidenza di date fra la dedica e la lettera mi ha fatto dedurre che mi aveva spedito il libro a casa. La lettera dice:
«Carissimo Nicola Bottiglieri, era un vero piacere per me incontrarti e sentirti di nuovo. Spero che il nostro viaggio comune continui in avvenire, con più porti d’incontro. Come ti ho detto, sto scrivendo un libro sul “Pane del Mediterraneo” -dove nacque, come si faceva, in quali modi fu traslocato ecc. Ti ringrazio (per il) del tuo aiuto: m’interessa molto come la galletta e soprattutto il vero pane fatto nel fornicello si facevano e (trasportavano) durante i viaggi di Columbo e dei suoi marinai. Ho scritto su una carta ieri, rapidamente, alcuni accenni, illeggibili. Ti sarei molto grato di scrivermi alcuni titoli e capitoli di cui mi parlavi (eventualmente con l’indicazione dei nomi degli editori o qualche pagina fotocopiata di quello che tu ha già in casa). In questo “ Mondo ex” , di cui parlavamo, sono due testi sul Mediterraneo… Tante cose Predrag Matvejevic» E segue il numero del telefono, poi l’indirizzo di casa. Infine, un P.S.: «Non c’è nessuna fretta…». Questa la lettera, piena di correzioni fatte con la stilografica verde, che io ho messo fra parentesi, con le virgole fatte a penna, le ribbattiture della macchina da scrivere. Poi una firma bella e illeggibile.
Finita la lettura, la tristezza si è trasformata in gioia. Infatti ricordavo un convegno nel quale avevo parlato del viaggio di Colombo e che cosa mangiassero i marinai a bordo delle caravelle, del biscotto secco, del modo di far crescere il prezzemolo sul proprio corpo, del vino mescolato con acqua di mare, ma soprattutto dei fenomeni luminosi che accompagnarono il viaggio sull’Oceano. La tristezza chiama tristezza e la gioia chiama gioia. Perciò l’allegria di quel ricordo ha aperto le porte della memoria e allora ho rivisto il volto, gli occhietti vispi e ironici, l’umiltà dolorosa del corpo, la vitalità dietro le parole.
Erano anni quelli in cui si parlava molto di Europa, dell’entrata dell’Italia in Europa e la cultura europea era vista come il capitale che dovevamo investire nel progetto politico. Perciò uno che riscattava i valori del Mediterraneo da traghettare in Europa mi sembrava un uomo eccezionale. L’Europa del vino voleva vincere su quella della birra, l’Europa del grano su quella dell’orzo e della segala, l’Europa dell’olio d’oliva voleva il suo spazio su quella del burro, l’Europa mediterranea voleva far sentire la sua voce su quella del Nord, l’Europa cattolica prendeva la sua rivincita su quella protestante. In questa allegra e tumultuosa visione del futuro, io vi mettevo anche Colombo, perché il marinaio genovese aveva dilatato a dismisura proprio la “cultura mediterranea” travasandola nel nuovo mondo.
Se il mio entusiasmo era sconsiderato, l’ottimismo di Matvejevic era temperato dalle tragedie successe nella ex Jugoslavia. Credo che lui vedesse nell’Europa, la “madre severa” che avrebbe ridato ai figli rissosi la giusta collocazione all’interno della grande famiglia del continente. L’Europa non era solo il futuro, ma la costruzione politica che avrebbe risolto i problemi del passato. E lui insisteva sul fatto che il Mediterraneo ed i suoi simboli, come appunto il pane, potevano essere il punto di partenza per una “nuova cultura” dell’uomo veramente europeo.
Insomma, quell’ometto venuto dall’oriente, umile e arguto, mi dava una grande gioia ogni volta che lo vedevo. Perché mi faceva sentire veramente europeo, con un grande futuro ed un allegro presente. Allegria che aumentava all’aeroporto, quando invece di fare la fila ai varchi doganali, io transitavo veloce sotto la scritta cittadini EU, lasciando indietro quelli che non godevano dello stesso privilegio. In Argentina, in Cile ed in altri paesi latinoamericani dove andavo, essere cittadino europeo era visto come segno di una “nobiltà civile” che invidiavano. Europa voleva dire ricchezza e diritti umani, benessere e legalità.
Cosa sia successo dopo, tutti lo sappiamo. Non mi riferisco ai problemi economici che scuotono il Continente, ma soprattutto alle migrazioni dal sud verso il nord. C’è posto per gli africani in quell’idea di Europa che Matvejevic aveva elaborato? Io penso che il suo distaccarsi dal mondo non sia dipeso solo dai problemi di salute, ma da una lunga elaborazione che andava facendo. Infatti il suo libro sul pane Pane nostro fu pubblicato nel 2010 ed ebbe una ristampa nel 2015. Il pane poteva essere ancora un punto di partenza per questa Europa “contaminata” dalla robusta presenza africana. Una presenza che come stiamo vedendo mette in discussione la stessa idea di Europa unita. Se c’è una colpa che io rimprovero agli scrittori, agli intellettuali, ai politici di casa è quella di aver abbandonato l’Africa nella seconda metà del secolo XX, per guardare soprattutto all’America ed alla sua vitale invadenza. L’Africa era vista come passato da dimenticare, l’America come futuro da guadagnare. Oggi stiamo soffrendo le colpe di quella disattenzione.
Guardo le pagine dove ho ritrovato la lettera, si tratta di pagina 86 e 87, leggo il titolo del capitolo “Nostalgie mediterranee”, alla fine della prima pagina vi è scritto: «Il mare stesso assomiglia sempre di più ad una frontiera che si estende dal Levante al Ponente per separare l’Europa dall’Africa e dall’Asia Minore». Oggi quella frontiera si è irrigidita ancora di più, il mare nostrum è diventato mare mostrum. Prima di diventare ex europeisti, dopo essere stati ex comunisti, voglio salutarlo non con il consueto “la terra ti sia lieve”, ma con “ l’acqua del mare ti culli per sempre” immaginando il suo corpo come uno scoglio al largo di Pantelleria dove possono rifugiarsi tutti quelli che credono nella madre Europa.