Nicola Fano
Visto al Teatro Vascello di Roma

L’Ibsen dimezzato

“Una casa di bambola” nella versione di Roberto Valerio, cambia il finale di Ibsen, vanificando il dramma di Nora. Ma è bravissima Valentina Sperlì a riscattare il cuore del dramma

Cominciamo dalla fine: se doveste andare a vedere Una casa di bambola di Ibsen con la bravissima Valentina Sperlì che si dà a Roma, al Vascello (e poi continuerà una lunga tournée), dovete sapere che il finale non è quello di Ibsen. Nel senso che qui il regista Roberto Valerio, anche in scena come Torvald, ha deciso che Nora, alla fine del suo lungo percorso di autocoscienza, non lascia il marito, ma resta in casa. Il perché di questa scelta non è chiaro, poiché per il resto il rispetto del testo è totale. E Ibsen ha inventato la storia di una donna che si riscatta fuggendo, non una Caterina bisbetica che finisce per sottomettersi al suo Petruccio (forse) pensando alla possibilità di comandarlo fingendosi domata… Per essere più chiari: il disegno dello spettacolo di Roberto Valerio rispetta Ibsen fino al finale qui, come dire?, si contraddice palesemente senza spiegare al pubblico il perché di questa contraddizione.

Non è un difetto da poco, per uno spettacolo del genere, per la ragione semplice che tutto svapora alla luce di ciò. Per esempio: la bella, intensa interpretazione di Valentina Sperlì, tutta protesa verso una lenta precisa di coscienza di sé e dei suoi (cattivi) rapporti con il padre e con il marito, diventa inutile alla luce del fatto che quel percorso non produce la ribellione ma un inspiegabile ripiegamento. Il percorso drammaturgico di Ibsen va nella direzione dell’autonomia della donna: ogni battuta è costruita in funzione di quel finale. A che pro Nora dovrebbe soffrire e capire se stessa se alla fine resta in casa? Anche il resto del copione Roberto Valerio avrebbe dovuto cambiare per consentire a Nora di spiegare questa sua scelta, questo suo ripiego, ma così non è stato. E lo spettatore, alla fine, se conosce l’originale si chiede perché, se non lo conosce non trova ragione negli sforzi fatti, fin lì, da Nora per capire se stessa. I classici sono tali perché continuano a parlare ai pubblici di tutte le epoche: mantengono la propria contemporaneità. È lecito o auspicabile aggiornare i contesti storici o sociali del classici; è lecito o auspicabile tagliare e ricucire le battute, forzare lo stile della scrittura, ma non ha senso cambiarne il segno drammaturgico. Tanto varrebbe scrivere un altro copione, a questo punto.

Valentina SperlìDetto questo, lo spettacolo diretto e interpretato da Roberto Valerio ambienta la vicenda di Nora (la donna che per salvare il marito compie degli illeciti che le si ritorceranno contro tanto che, quando scoppierà lo scandalo, il primo a biasimarla sarà proprio il marito Torvald) è ambientata in una vera e propria casa di bambole (la scena è di Giorgio Gori) nella quale la Nora/bambina deve arrampicarsi sulle scale per aprire cassetti e credenze: un luogo sghembo, malcerto popolato di voci e fantasmi che volta a volta rimandano l’eco delle minacce e degli incubi che affliggono la protagonista. Insomma: una ridondanza di segni che dovrebbe sottolineare ciò che il testo di Ibsen già esprime con chiarezza. E cioè che Nora non capisce il mondo che la circonda: la sua ingenuità è il prodotto di un’educazione sbagliata impostata prima dal padre e poi dal marito.

In questo disegno, Valentina Sperlì è bravissima ad assecondare Ibsen scavando nell’angoscia di questa donna che improvvisamente, nel volgere di pochi giorni, passa da una beata adolescenza a una maturità dolente: finanche le sue espressioni, la tonalità della sua voce cambiano, crescono, s’invecchiano quasi di colpo. Insomma, una grande prova d’attrice alla quale fa da corollario quella altrettanto convincente di Carlotta Viscovo, la signora Linde, vecchia amica d’infanzia che irrompe nella vita di Nora introducendo il primo segno della realtà e della tragedia che sarà.

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La foto nel testo è di Marco Caselli

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