Il nuovo romanzo di Giulio Castelli
Armeni, l’alba del genocidio
Ne “La battaglia sulla montagna di Dio”, l’autore risale, tra storia e invenzione, alle origini della “prima immane catastrofe del Ventesimo secolo”. Senza rinunciare a pagine di denuncia che ci riportano all'attualità
Newton Compton, la casa editrice di Raffaello Avanzini, definisce Giulio Castelli un autore “da centomila copie”. E davvero hanno avuto successo i romanzi storici fin qui pubblicati dall’editore romano, nei quali Castelli, giornalista e storico, ricostruisce la storia del tardo impero romano, con i suoi ultimi imperatori e con il suo declino nella dilatazione geografica dei confini. Ebbene, quando il bestsellerista Castelli andò da Avanzini a illustrargli questo La battaglia sulla montagna di Dio, l’editore arricciò il naso. «Gli proponevo una storia sullo sfondo del genocidio degli Armeni – racconta. Un argomento scansato a lungo, giudicato di nicchia se non ostico. Basti pensare che l’Italia ha sdoganato l’eccidio di questa popolazione a opera dei turchi e avvenuto cento anni fa soltanto nel 1998. A convincere Newton Compton arrivarono però, nel 2015, il centenario della pulizia etnica operata da Istanbul e, nel giugno scorso, il viaggio apostolico del Papa a Erevan. Un sasso lanciato nello stagno dell’indifferenza, se si pensa che solo un decimo degli abitanti sono cattolici. E che quando Francesco ha definito l’eccidio la prima immane catastrofe del Ventesimo secolo il governo di Erdogan si risentì e ne nacque un caso diplomatico tra Turchia e Santa Sede».
È stata dunque la contingenza a favorire Giulio Castelli. Quel popolo armeno, il cui territorio indipendente è soltanto un quinto della originaria estensione, corrispondente all’ex repubblica sovietica, mentre il resto è conculcato dai turchi; quella etnia la cui tragedia è stata narrata quasi esclusivamente da un romanzo e da un film (La masseria delle allodole di Antonia Arslan portato sul grande schermo dai fratelli Taviani); quel mondo a parte, insomma, a parlare del quale in termini di critica al governo turco comporta ancora il rischio di finire in galera, ha trovato in definitiva uno spiraglio per venire alla luce. E coraggiosamente Castelli ha portato avanti il suo progetto, che gli consente peraltro di evidenziare la coincidenza dell’olocausto armeno con quanto attualmente Istanbul fa ai curdi. Perché, affonda il coltello il Nostro, «in Turchia impera tutt’oggi un nazionalismo arcaico e sfrenato».
Eccolo, allora, questo libro. Ma non si pensi a un pamphlet, a un’opera-denuncia di tipo saggistico, a un j’accuse efficace ma arido. La battaglia sulla montagna di Dio è narrativa tout court. E sta qui l’abilità di Castelli: su uno sfondo storicamente esatto – le prime avvisaglie delle persecuzioni contro gli armeni avvenute a fine Ottocento – egli intreccia un plot ricco di colpi di scena, nei quali nove personaggi impegnati in una spedizione al monte Ararat – ritenuto il luogo dove si arenò la biblica Arca di Noè – sono legati da corteggiamenti e infedeltà, da ambizioni e affari spionistici, da lealtà e colpi bassi. Mentre la cornice varia dalla Belle Epoque dell’antefatto europeo all’opulenza orientale dell’antica Costantinopoli e agli ambienti spartani e solitari nel cuore dell’Armenia.
«Ho inventato personaggi e situazioni partendo da una storia raccontatami da mio nonno, che insegnava all’università di Ferrara e che era venuto a conoscenza di vicende legate agli scontri tra i circassi e i musulmani – spiega ancora Castelli. Avvenimenti rimasti sempre in un angolo della mia mente e della mia immaginazione. Fino agli anni attuali, nei quali quanto sta avvenendo nel Medio Oriente e che si riverbera nell’Occidente, compreso il terrorismo dell’Isis, ha catalizzato la mia voglia di narrare e la mia ispirazione. Ne ho tratto un romanzo che non è soltanto storico, ma di viaggio, anche nel senso spirituale. Un percorso di consapevolezza che coinvolge tutti i protagonisti».
Chi sono i nove? L’io narrante, l’eroe positivo della vicenda, è Elio Dossi, giovane di belle maniere e cultura umanistica (ha studiato orientalistica) che, dopo essere stato messo alla porta dal padre della sua fidanzata che non riesce a vedere in lui il buon partito, deve fuggire da Milano per essere stato casualmente coinvolto nei tumulti del 1898 repressi violentemente dal generale Bava Beccaris. In Svizzera, dove si è rifugiato, incontra tre giovani americani, un disincantato francese reo di parteggiare per l’ufficiale Dreyfus, il celebre contestatore del j’accuse, e una coppia di ricchi e eccentrici inglesi. Progettano, questi ultimi, una spedizione in Armenia, per recuperare appunto l’Arca di Noè. Si portano appresso due servitori e hanno un comportamento strano: da seduttrice lady Ann, da esploratore animato da inconfessati fini più che da sete di conoscenza il marito sir Cedric. Comincia il viaggio. Fino a Costantinopoli sull’Orient Express, poi verso l’Anatolia con convogli improbabili, o con carrozze coperte di polvere. Incontreranno pascià venali, servitori bugiardi, guide astute, minacciosi personaggi sepolti nel vapore di un bagno turco. E, man mano che procedono verso l’Ararat, scherani al servizio del sultano Abdul Hamid, alleati a bande di musulmani già pronte a eliminare i cristiani armeni (furono duecentomila le vittime del Grande Male, fatte tra il 1894 e la fine del Novecento). Mentre coprotagonisti salgono icasticamente alla ribalta: ecco lo spietato capitano Demir, che vagheggia la pulizia etnica; ecco il gigante Aganesian, un lottatore pronto a sacrificare la vita in difesa della sua gente.
Squarci di paesaggi si alternano a dialoghi ora da salotto, ora ideologici. Castelli forgia una lingua compatibile con il vocabolario dell’epoca pur senza essere antiquata. Dosa pagine di suspense a pagine riflessive e di denuncia. Non a caso l’epilogo del libro si svolge tra Mosul, Raqqa ed Aleppo, dove da mesi infuria la guerra. E ricorda quanto dichiarato dal portavoce dell’Hd, il partito democratico che include anche i Curdi ed è la terza forza politica della Turchia con oltre oltre il 10 % dei voti: «Erdogan ha scelto una versione aggiornata di quello che i Giovani Turchi fecero agli armeni all’inizio del XX secolo. Mascherandolo come lotta al terrore, vuole applicare ai curdi una versione moderna del genocidio armeno. Il quale cominciò con l’arresto degli intellettuali e dei leader armeni a Istanbul, Izmir e altre città». Anche per questo La battaglia sulla montagna di Dio (378 pagine, 12 euro) è la cornice nella quale si incastona “l’alba del genocidio” degli Armeni, durato venti anni.