Tra medicina e filosofia
Metafisica del corpo
Perché la medicina ha dimenticato il suo rapporto con lo "spirito", separando il corpo dall'anima? È il tema di un saggio bel di Vincenzo Nuzzo. Tra Platone e Edith Stein
Il medico e studioso Vincenzo Nuzzo coniuga i grandi interessi della sua vita, la medicina e la filosofia, in un libro arduo, specialistico, ma assai moderno per la vocazione alla lotta contro lo scetticismo generale dei nostri tempi in merito alla dicotomia anima/corpo. Il titolo di questo saggio denso, mai approssimativo, è Lo spirito della funzione fisiologica. L’anima di Edith Stein e Platone (prefazione di Giuseppe Muscolino, Loghìa, pp. 170, euro 27,90), ed ha il fermo proposito di dimostrare l’errore e il pericolo della reductio ad unum di spirito/mente proposto dalla psicologia cognitiva e da una diffusa tendenza anche in campo biomedico.
Se, da un lato, è vero e inappuntabile che l’attuale conoscenza scientifica ha permesso alla medicina di progredire smisuratamente, dall’altro ha portato anche ad «una drammatica restrizione della capacità di comprendere in profondità l’uomo con gravi ricadute sia sulla prassi clinica che sulla stessa ricerca diagnostico-terapeutica». Il prezzo di tale restringimento è la completa disumanizzazione del paziente. Il motivo principale di questo “scarto ontologico” consiste nel progressivo allontanarsi della scienza medica da una conoscenza filosofico-metafisica che, fino al Medioevo, aveva costantemente irrigato l’humus speculativo del terapeuta. Da sempre i medici sono stati tra i principali filosofi. Non solo Ippocrate e Galeno: ma anche Empedocle, Zenone, Pitagora, Aristotele, Porfirio; e dopo ancora Avicenna, Al Gazali, Maimonide, Spencer, Jaspers.
«Uno dei cardini di tale parallelismo – spiega Nuzzo – risiedeva proprio nel riconoscimento della natura animico-spirituale sia nella conoscenza di quella profondità umana oggi riconosciuta come il livello direttivo di tutto ciò che nell’organismo è fisiologico (e cioè decorre secondo meccanismi normali). Ne consegue la vivificazione di quelle strutture anatomiche che in sé, in quanto materiali, sarebbero prive di vita, e quindi di fatto prive di un movimento organizzato».
Nuzzo, con chiarezza e competenza, illustra questo tema peculiare al lettore, esaminando in profondità la riflessione di Edith Stein, allieva di Husserl, filosofa, martire e santa (con il nome di Teresa Benedetta della Croce), morta ad Auschwitz nel 1942. La pensatrice tedesca – che sin dai tempi della sua tesi di dottorato cercava l’extra-corporeo nel concetto di Einfühlung, l’empatia – ha dedicato molte delle sue ricerche a svellere il modello puramente empirista nella comprensione della psiche umana e del suo rapporto con il corpo, riaffermando «il concetto della sostanziale spiritualità dell’anima quale luogo di un’intellezione che dà vita alla dimensione spirituale». Benché l’anelito sia religioso, il “taglio” concettuale della Stein rimane intimamente filosofico: la messa in discussione dell’ontologia vitale ed animico-sostanziale di Tommaso; la messa in discussione dell’empirismo scientista nella forma specifica della dottrina evoluzionistica. La riflessione, condotta da Nuzzo contestualmente con il Timeo di Platone, si innesta perfettamente al riferimento-cardine delle riflessioni steiniane. Infatti il filosofo greco ha elaborato una lettura metafisica davvero paradigmatica sia della fisiologia sia della sua correlazione ad uno scenario macrocosmico. Dopo aver svolto un’indagine metafisico-religiosa sui livelli supremi dell’Essere (specie nella descrizione delle armonie cosmiche), Platone si occupa di rappresentare l’intero organismo umano mediante una descrizione altrettanto metafisica.
La ratio della Stein sui fenomeni vitali ha permesso, inoltre, un approfondimento ed allargamento dei significati di queste due dimensioni. «E precisamente nel senso di un’interpretazione spiritualistico-religiosa (e morale) di un aspetto della realtà antropologica che altrimenti trova una spiegazione unicamente empiristica e materialistica». Qui risiede tutta la novità e l’importanza del pensiero steiniano, legato alle considerazioni platoniche grazie al filo rosso dell’idea trascendente.
«È infine, sulla base del Timeo platonico – chiosa lo scrittore partenopeo – ciò che coincide con l’essenza stessa del direttivo come istanza di saldo governo. Ebbene, cosa fa la Stein facendo emergere tutto questo? Ella si sforza di fare una descrizione dell’impossibile come sovrannaturale tangibilmente presente nel naturale. E così si sforza di affermare la speranza, quella speranza definitivamente persa dal così sobrio (“autentico”) uomo moderno. E diremmo che proprio con questo sforzo ella porta a compimento le intenzioni del suo maestro Husserl, che era però troppo integralmente filosofo per spingersi fino a vertici così contemplativi». La conclusione del saggio è giustamente dedicata al senso della possibilità nel sostenere l’interpretazione spiritualistico-religiosa dell’esistere umano: pur nella piena considerazione degli aspetti biologici, non bisogna mai perdere di vista i contenuti di sapere offerti dalla metafisica religiosa.