A proposito di “Pornocultura”
Corpi in rovina
Claudia Attimonelli e Vincenzo Susca analizzano un mondo in rovina, dove i pezzi franati non possono essere ricondotti all'unità, si può solo, con gioia tragica, danzare sulle rovine dell'eterno presente
Pornocultura, viaggio in fondo alla carne (Mimesis, 2016, pp. 142, euro 14) di Claudia Attimonelli e Vincenzo Susca è un saggio molto estremo (non solo sul mondo del porno) che indaga il grande mutamento antropologico postumano, o meglio transumano, che stiamo attraversando. Citazioni ricorrenti da Videodrome di Cronenberg, La storia dell’occhio di Bataille e Mille piani di Deleuze e Guattari, insieme alla filosofia sociologica di riferimento, quella di Michel Maffesoli, costituiscono solo alcuni dei cardini attorno cui ruota il libro. Il primo e il quarto capitolo: Genealogie e L’oscenità integrale, affrontano primariamente il tema del mutamento antropologico secondo linee filosofiche generali; il secondo e il terzo: L’intrattenimento radicale e Augmented libido, affrontano temi specifici inerenti alla pornocultura applicata e praticata. Si va dalle Love Dolls alla fotografia, dalla body art al mondo del fetish BDSM, passando per il giardino dei Supplizi e il Torture Garden. Per poi immergersi in uno studio approfondito della filmografia pornografica: dal Pornhorror alla religione messa in scena dal porno, dalle parodie alle fantasmagorie oscene; si parla di festival del porno e tecnopornologa. C’è un capitolo molto interessante dedicato all’osceno in fotografia, che non necessariamente coincide con il porno ma solo con qualcosa di appunto fuori dalla scena, come Period: il ciclo di fotografie che Rupi Kaur, studentessa del IV anno dell’University of Waterloo, presenta nel 2015 come progetto finale del corso di Visual Rhetoric; non ci sono nudità, né nulla che possa riguardare il mondo del porno ma solo l’esposizione del ciclo mestruale. Accade che queste foto, pubblicate poi su Instagram, vengano censurate poiché considerate illecite.
Interessante è la disamina di Attimonelli e Susca: «Ciò che viene espulso dal corpo, l’eccesso, gli scarti, diviene fonte di disgusto e attrazione negativa; mentre il corpo chiuso e protetto come promettono gli assorbenti, è salvo dall’essere giudicato grottesco». Eppure, nonostante l’immagine in questione sia fuori luogo, «poiché produce un’alterazione della forma esteticamente accettabile; il riconoscimento ottenuto dalla suddetta forma si è diffuso durante il secolo scorso grazie alla proliferazione di media atti alla riproducibilità tecnica e tecnologica di immagini aventi come soggetto il corpo, al punto che l’ostentazione di protuberanze erotizzate, di fessure della pelle, di nudità e carne sono entrati d’imperio nella vasta gamma di rappresentazioni della corporeità elettronica. Al di là del bene e del male e di ogni eventuale tentativo di condannarne gli effetti sulla morale pubblica, natiche, seni, peli pubici, cosce divaricate, bocche spalancate e quant’altro, sono ovunque».
Ma cos’è questa mutazione antropologica di cui si parla? Cosa significa transumano? Se, come voleva Nietzsche, l’uomo è un ponte verso l’oltreuomo, la pornocultura è il materiale di cui è il ponte è fatto. «Guardiamoci attorno: le pareti del porno sono franate. I suoi nascondigli dissotterrati. Le sostanze dell’hard proliferano ora in ogni rivolo dello scenario pubblico, diffondendosi tramite successivi contagi virali». Si tratta dell’aura tragica del nostro tempo, non più visiva ma tattile, non più illuminista ma tribale, un ritorno agli archetipi, alle bestialità primordiali e all’estasi, dove alla libertà si sostituisce la dipendenza, o meglio, l’interdipendenza, il tornare a essere insieme, senza barriere e senza confini. In questa visione delle cose non viene negata la tragicità aporetica della condizione umana, quel che viene negato è la possibilità di un appiglio umanista alla legge, alla regolarità, alla civiltà. Dunque Pornocultura, si pone nell’orizzonte interpretativo di un mondo in rovina, dove i pezzi franati non possono essere ricondotti all’unità, si può solo, con gioia tragica, danzare sulle rovine dell’eterno presente, godendo dell’apocalisse.
«Gli occhi, il loro punto di vista, e con essi tutto il punto di vista dell’uomo moderno, non sono in grado di guardare in faccia né il sole né l’oscurità, né l’orgasmo né un cadavere, né la vita che palpita e neanche i segreti della morte. È allora ad occhi chiusi, con le mani tremule e il tatto accogliente, che sarà forse possibile accarezzare l’avvento della nuova carne».