Ritratto d'artista
La parola sovversiva
Rosario Palazzolo: «Davvero non so che cosa voglia dire "ispirazione", secondo me è un’invenzione degli inetti, dei pigri, dei ricercatori di attenuanti. Il rapporto scena-parola è invertito, sovversivo, certamente estenuante»
Nome e cognome: Rosario Palazzolo.
Professione: Scrittore, anche regista, attore solo quando non posso farne a meno.
Età: 44.
Quando nasce la tua passione per la drammaturgia e quando hai deciso di farne un mestiere?
Non saprei di preciso, ho una memoria terribile e in più evito di creare cronologie perché finisco sempre per costruire aneddoti.
Il tuo film preferito? Quello che non mi spazientisce.
Il tuo spettacolo teatrale preferito? Ecco ciò che temo di più nelle interviste: la precisione delle risposte.
Qual è l’autore da cui hai imparato di più? Potrei fare anche qui diversi nomi e magari, su, qualcuno lo faccio, tipo Saramago e Bernhard e Pinter e De Filippo e Hrabal e Joyce e Capote e Salinger e Buzzati epperò ti dico Luigi Bernardi, perché ho imparato molto dallo scrittore e moltissimo dall’amico, dal mentore, dal maestro.
Il libro sul comodino: Non ho il comodino apposta!
La canzone che ti rappresenta: Quella che mi ferma.
Descrivi il tuo giorno perfetto. Il perfettibile.
Come nascono i tuoi testi e come coniughi l’atto creativo alle esigenze di pubblico e di mercato? Non penso mai al pubblico, figurarsi al mercato, è l’unico atto di onestà intellettuale che posso permettermi, del resto ho sempre immaginato il pubblico estrinseco all’arte, penso piuttosto a un interlocutore diretto, qualcuno a cui devo moltissimo conto, parecchia attenzione.
Strategia di conquista: qual è la tua? Il caso.
Categorie umane che non ti piacciono? Quelle che si divertono a stilare categorie umane.
Classifica per sedurre: bellezza, ricchezza, cervello, humour. Me ne posso permettere un paio, per cui tifo per quelle.
Qual è la tua visione del rapporto scena-parola? Complicata, invertita, sovversiva, certamente estenuante.
Meglio le affinità elettive o l’elogio degli opposti? Le circostanze, decidono.
Hai mai pensato di scrivere anche per la televisione o per il cinema? Giammai, è sempre prudente farsi mancare qualcosa.
C‘è qualcosa che rimpiangi di non avere detto a qualcuno? Credo di sì.
Shakespeare, Eduardo o Beckett? Gli ultimi due.
Qual è il tuo ricordo più caro? Sono un uomo schivo, figurarsi se vengo a raccontarlo qui.
E il ricordo più terribile? …
Racconta il tuo ultimo spettacolo: È una quadrilogia, la medesima storia raccontata da quattro punti di vista, una serialità teatrale sul tema della sconfitta, una poetica del fallimento.
Perché il pubblico dovrebbe venire a vederlo? Faccia quello che crede.
Il mondo del teatro è veramente corrotto come si dice? È il mondo a essere veramente corrotto, il teatro ne è solo una costola, perlopiù incrinata.
La cosa a cui nella vita non vorresti mai rinunciare. Le mie due donne.
Quella cosa di te che nessuno ha mai saputo (fino ad ora). Lasciamoli nell’ignoranza.
Piatto preferito. La pasta, con tutto.
C’è parità di trattamento nel teatro tra uomini e donne? Non credo, ma neanche tra macchinisti e direttori di scena, a dire il vero.
Quale testo ti sarebbe piaciuto avere scritto. Quello di adesso, nel senso che vorrei fosse già scritto, finito e definito, innocuo.
Chi vorresti dirigesse una tua drammaturgia? Il regista che proprio lo vorrebbe.
Hai il potere di formare la squadra attoriale. Chi convocheresti? I panchinari.
Cosa accadrebbe all’umanità se il teatro scomparisse? Ci farebbe un supermercato.
Gli alieni ti rapiscono e tu puoi esprimere un solo ultimo desiderio. Quale? Che rapiscano un altro.
La frase più romantica che tu abbia scritto. Il romanticismo è una bufala, o comunque un anacronismo, visto come frigniamo per i matrimoni dei vip, le navi affondate, i vattelapesca dei tg.
La frase più commovente che tu abbia scritto. Non ricordo, l’ho subito cancellata.
Gli attori dimenticano le battute ed improvvisano facendo perdere il senso di ciò che volevi. Condannati o graziati? Maledetti!
Cosa vorresti che il pubblico ricordasse di te? Le cose vere.
Hai mai litigato con un regista o un attore per una questione di interpretazione del personaggio? Litigo con tutti, litigo con gusto, litigo sempre meglio.
Se potessi svegliarti domani con una nuova dote, quale sceglieresti? C’ho tutte quelle che mi occorrono, mi pare.
Se potessi scoprire il tuo futuro, cosa vorresti sapere. Solo le cose che non riesco a immaginare.
Che cosa è troppo serio per scherzarci su? L’ironia.
La figura del dramaturg perché in Italia non è riconosciuta? Perché non sa neppure cosa sia un drammaturgo, l’Italia.
L’ispirazione: come costruisci storie e personaggi? Nessuna ispirazione, solo fatica quotidiana, e in effetti non saprei cosa voglia dire la parola ispirazione, secondo me è un’invenzione degli inetti, dei pigri, dei ricercatori di attenuanti.
Cosa ti piace andare a vedere a teatro? Tutto ciò che ha anche sapore d’artigianato.
Parallelamente al tuo percorso artistico, trovi che in questi anni ci sia stata un’evoluzione o un deterioramento del teatro? Un deterioramento, ma la colpa non credo sia mia.
Il rapporto con la parola. La interroghi, la ricerchi, la domini o ti fai dominare? La adoro, la insulto, la manipolo, soprattutto.
Cosa è oggi il teatro di sperimentazione? Qualcosa che rischia di diventare vecchio.
La figura del critico ha ancora valore o conta solo il botteghino ed il benvolere del pubblico?
Eccome se conta, ma non certo per portare la gente a teatro.
Un testo teatrale può essere equiparato ad un romanzo? Certamente.
Cosa pensi di chi passa direttamente dai talent al palcoscenico? Tutto il bene, l’importante è che non si fermi.
Il cinema ha influenzato la tua scrittura teatrale? Il cinema no, le immagini sì.
Com’è lo stato di salute della drammaturgia italiana? C’è molto di buono, molto di medio, molto di peggio.
Ti viene data la possibilità di presentare tre proposte di legge in materia spettacolo. Cosa proponi? Questa non la so.
Hai un sogno nel cassetto che oggi può aprire. Cosa viene fuori? Ho sempre aperto tutti i miei cassetti, anche scassinandoli.
I soldi fanno la felicità? No, ma neanche la miseria.
Descrivi il tuo rapporto con i social network. Non ci sono, c’è un altro, una specie di alter ego, come del resto qui, adesso, ché se dovessi essere per come davvero sono non sarei da nessuna parte, credo, oltre che a casa mia.
Una critica che più ti ha ferito. Quella pigra.
Il teatro può riuscire ancora a stimolare la passione civile del pubblico in modo attivo? Niente stimola la passione civile del pubblico in modo attivo, la battaglia è persa, mi spiace, e staremmo alla frutta se non fosse marcita pure quella, e insomma sarebbe un miracolo, per me, lo giuro, se un giorno scorgessi un briciolo di passione civile qualsiasi, e perfino mi accontenterei di una buona rappresentazione di passione civile qualsiasi, a dire il vero, e non solo in ambito teatrale.
Con i tagli economici alla cultura, secondo te il teatro diventerà un’arte di nicchia, oppure ci sarà una prevalenza di teatro di medio-basso livello o amatoriale? Il rischio è che simuli la nicchia, il teatro, e che dentro la nicchia costruisca una reggia, e credo c’entrino poco i tagli alla cultura per il dissesto che viviamo, ché perlopiù i tagli alla cultura riguardano coloro che già da tempo avevano tagliato fuori la cultura dai teatri, e difatti conosco moltissimi direttori squattrinati che continuano a resistere in comodissimi monolocali.
C’è un autore teatrale che secondo te viene poco considerato e che invece andrebbe rivalutato e rappresentato? Non uno ma parecchi, ma dico Tino Caspanello, ché sebbene venga rappresentato un po’ dappertutto è un dappertutto che andrebbe espanso.
Progetti futuri? Posso permettermi soltanto progetti presenti.
Un consiglio a chi voglia intraprendere questo mestiere. La lateralità.
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Foto di: Francesca Sepia, Claudio Cavalli, Alexandra Cacicia, Davide Ajello e Luca Mannino.