Nicola Fano
Visto al Teatro Eliseo di Roma

L’uovo di Orsini

Umberto Orsini ripropone "Il giuoco delle parti" di Pirandello e lo costruisce come il ricordo ossessivo di Leone Gala, il protagonista, che da vecchio rivive all'infinito la sua storia. Insomma, un riverbero continuo di verità e follia. Molto pirandelliano

Umberto Orsini aveva interpretato Leone Gala, il protagonista de Il giuoco delle parti di Pirandello, nel 1996. Ma probabilmente ha visto anche la versione memorabile che di quel testo fecero Romolo Valli e Giorgio De Lullo nel 1965 (ripresa nel 1976, con Anita Bartolucci al posto di Rossella Falk nel ruolo di co-protagonista). Ebbene, ragionevolmente oggi, Umberto Orsini, prima di mettere in cantiere un nuovo allestimento del capolavoro (in senso proprio, secondo me) di Pirandello si sarà chiesto: perché? Perché riportare in scena un intreccio già tanto sviscerato? Perché alla sua età (82 anni), incarnare un personaggio maturo ma non così tanto? Perché aggiungere nuove emozioni a vecchie? La risposta deve essere stata semplice: per ricordarlo. Per ricordare il se stesso Leone Gala interpretato vent’anni fa: ed ecco la chiave di questa sontuosa, profonda riscrittura (firmata a sei mani da Orsini, il regista Roberto Valerio e lo scenografo Maurizio Balò) del testo (1918) di Pirandello. Insomma, qui si recita un Leone Gala che ricorda la propria vita.

Dunque, troviamo Leone vecchio, in uno spazio che potrebbe essere un ospedale psichiatrico o un ricovero per anziani, lontano dalla quotidianità immaginata da Pirandello, con quella vicenda di tradimenti e di duelli già interamente compiuta e lontana negli anni. Il mondo di Pirandello è costellato di pazzi: Leone Gala qui diventa uno di costoro, che gioca ogni giorno nel cupo della sua stanza (disegnata da Balò, ecco il suo apporto all’adattamento) non soltanto con le parti che ha recitato nel corso dell’evento contrale della sua vita, ma con la memoria: ripescando ora una scena ora l’altra, imponendo ai comprimari (la moglie e l’amante di lei, qui la bravissima Alvia Reale e Totò Onnis) di ripeterle a dispetto della logica, cambiando impostazione, intonazione. Trasformando la propria camera d’ospedale in un salotto borghese d’inizio secolo. Come fossero dei ricordi d’autore, appunto. O, se preferite, come se Leone Gala fosse un Krapp che svolge davanti alle proprie orecchie i brandelli della propria vita vissuta. Naturalmente, nella realtà di questo Leone Gala vecchio e pazzo, il fido maggiordomo Socrate è l’infermiere, così come il dottor Spiga è il primario del manicomio (siamo pur sempre prossimi al 1918, quando i manicomi ancora c’erano); di più, il suo sbattere l’uovo, che per Pirandello era bergsonianamente l’essenza di una trasformazione logica dovuta all’alternanza tra spazi pieni e spazi vuoti, qui finisce nel nulla. Nel senso che il vecchio Leone, insolentito dall’infermiere, butta a terra il suo uovo sbattuto: atto che avrebbe mandato in tutte le furie il giovane Leone. Insomma, nella riscrittura di Orsini e Valerio tutto torna: ma vent’anni dopo, come i moschettieri.

umberto-orsini_alvia-reale_il-giuoco-delle-partiTecnicamente, si chiama sequel: non è una bella parola ma rende l’idea. Quel che conta è che Umberto Orsini si è posto il problema di adeguare il testo a se stesso per rendere più credibile la sua interpretazione. E, da questo punto di vista, l’operazione è riuscitissima: in un’ora e mezza di stringato e affascinante spettacolo ci si dipana sotto gli occhi il crogiolo delle fobie pirandelliane. Con quel marito cornuto e filosofo che riesce a rivolgere contro gli ideatori il tranello mortale che gli è teso dalla moglie con l’intermittente complicità del di lei amante. Fino a mandare a morte l’amante medesimo: l’intreccio originale è salvo. Vi si aggiunge il rovello di un vecchio pazzo attraversato da lampi di lucidità (il rovescio dei personaggi di Pirandello: uomini lucidi tramortiti da lampi di pazzia). Par di vedere un Enrico IV a rovescio, definitivamente impazzito e che all’infinito recita la scena della sua vittoria sul destino che lo voleva uno sconfitto. Insomma, siamo nel pieno della poetica pirandelliana con un omaggio che più devoto non potrebbe essere. E Umberto Orsini – grande, venerato maestro – è un monumento al teatro da vedere e rivedere continuamente, così come Alvia Reale, vieppiù nel pieno della sua maturità artistica, che qui riesce a scandagliare tutte le sfumature di Silia, che sia se stessa o una semplice proiezione del marito Leone. Eppure, ancorché uscendo soddisfatti dalla sala, ci si domanda: quali altre emozioni ci avrebbero dato Orsini e Alvia recitando nudo e crudo il vecchio Pirandello?

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