Visto alla Cometa di Roma
Barberia Venturiello
Massimo Venturiello racconta la storia di una barberia di provincia mescolando (in musica) sogni, illusioni e delusioni. Un piccolo gioiello scenico che scoppia di ritmo popolare e vitalità
Delle vecchie barberie di paese un’immagine colpiva molto la mia fantasia: quel pentolino di acqua calda fumante che serviva a sterilizzare i ferri del mestiere e a riscaldare le pezze con le quali i barbieri ammorbidivano la pelle dei clienti prima di raderli. Massimo Venturiello ne ha messo in scena uno perfetto, di questi pentolini, e ha posto una piccola luce fissa sul fumo dell’acqua, per dare concretezza al mondo che voleva far rivivere nel suo spettacolo Barberia, in scena a Roma al teatro della Cometa fino a domenica prossima.
Massimo Venturiello è uno dei nostri migliori attori in circolazione, ma in una cosa è assolutamente unico: nella capacità di usare la musica di scena. Che non vuol dire cantare (Venturiello, comunque, sa cantare e anche qui lo dimostra) ma significa proprio recitare dentro la musica, usando le pause, i ritmi, le note in battere e quelle in levare. È come quando gli attori di altre generazioni recitavano i versi classici: sentivi la musica anche se non c’era. Venturiello è così: sembra che reciti in versi e invece mette la prosa in accordo con la musica. Questo spettacolo lo comprova perfettamente e, se non per altro, andrebbe visto proprio per ammirare questa lezione di ritmo teatrale.
Ebbene, in scena c’è un barbiere siciliano alla fine della sua parabola, che racconta il proprio passato radendo nervosamente (ma con presumibile maestria) i suoi abituali clienti. Veniamo a sapere che è stato bambino a New York, da dove il povero padre ha dovuto farlo fuggire perché aveva assistito a un omicidio (presumibilmente di mafia) e aveva visto in faccia uno degli assassini. Tornato nella terra degli avi, il ragazzo continua a fare il mestiere che aveva imparato in America e che è lo stesso dello zio che lo prende in carico. Anzi, molto più di un mestiere. Perché il barbiere non è solo quello che mette minuziosamente una lama sul collo delle persone, ma è un vero e proprio perno della società contadina: colui che taglia i capelli, che accoglie le confidenze dei clienti, che sana gli animali, che scardina i denti ai malati… Quella strana figura mitica, insomma, che qualche volta ancora sopravvive nei paesi e che – come dicevo – si sostanzia in quel pentolino fumante che durante l’ora e venti di rappresentazione resta sempre illuminato, qui.
Ma la Barberia di Venturiello è anche un tempio musicale. Perché da un canto un quintetto di strepitosi musicisti (di chiamano Compagnia Popolare Favarese: due mandolini, una mandola, una chitarra e una fisarmonica, Peppe Calabrese, Maurizio Piscopo, Mimmo Pontillo, Raffaele Pullara, Mario Vasile) suona e canta pezzi popolari ritmati e frementi (quasi) per tutto il tempo della rappresentazione. Anzi, la musica finisce per essere la vera scenografia dello spettacolo: qualcosa di più di una semplice ambientazione geo-culturale. Un meta-linguaggio scenico. Tanto è vero che l’autore del copione (largamente recitato in siciliano, come siciliana è l’atmosfera musicale, appunto) è un romano: Gianni Clementi. Ossia, la sicilitudine (vagamente alla Camilleri, dunque artefatta) è un trucco teatrale e risponde solo a una scelta linguistica destinata a caratterizzare l’idea stessa di “barberia di provincia”: un mondo misto nel quale convivono tante cose insieme, come abbiamo visto.
Insomma, Massimo Venturiello mette un altro tassello alla sua decennale costruzione di giochi scenici. Una casa i cui mattoni sono fatti di puro piacere teatrale: e, chiamato a trovarcisi a proprio agio, lo spettatore alla fine recupera sempre anche qualche brandello della propria memoria, del proprio immaginario. Come, in questo caso, quel pentolino fumante.